Cronaca

Love Parade 2010, il non senso della Love Parade

Fotogramma_YoutubeBerlino, 1989. La caduta del Muro innesca la fine di un grande ciclo storico, con la cancellazione di un simbolo vivo della Divisione. Quattro mesi prima, una piccola manifestazione musicale apre il ciclo del ritrovo leggero, ispirato al tema della fratellanza e della pace. Ogni anno, da allora, in Germania è stato celebrato questo evento con un ritrovo di massa di grandi proporzioni, rivolto essenzialmente a un pubblico giovanile. Fino alla strage. Il fatto crudo, come riferito dalle maggiori testate, produce angoscia e smarrimento, ma dove conducono le riflessioni post-trauma?

 

Alla conta dei morti, lo sguardo alle spalle, sull’accaduto, spesso non è più lucido di chi ai rave party partecipa. Soprattutto se finisca esclusivamente per rielaborare lo choc nel deferimento e nella punizione pubblica dei responsabili della sicurezza nello svolgimento degli eventi. Il tema è quello della gestione del rischio, non del senso di ciò che accade. Eppure, i rave party, con la loro coda di sporcizia, spaccio e consumo di droghe, alcolismo e confusione travestita da Joie de vivre sulle note di un tema politicamente corretto, è una delle più palesi manifestazioni di non-senso legittimato dalla cultura contemporanea.

 

Ogni città prima o poi finisce per ospitarne qualcuno. A Milano ricordiamo i recenti bagordi al Castello Sforzesco, per la Festa dei Lavoratori dell’1 maggio 2010, quando uno dei più bei monumenti storici della città fu ridotto a latrina pubblica e decine di giovani (e minori) finirono in coma etilico.

 

Spesso si cuce la bocca su tali questioni, fintanto che tutti tornano a casa.

 

Forse per evitare ogni accusa di moralismo e censura nella programmazione degli “eventi culturali e sociali” di grande partecipazione, le amministrazioni, responsabili quanto i genitori dei ragazzi radunati nei luoghi-contenitore, si trasformano in gestori di realtà insopprimibili e intrinsecamente validate.


Una magra visione passiva del senso sociale conduce le generazioni novelle all’espressione del nulla contemporaneo, condito dall’ipocrisia di fratellanze e solidarietà che scompaiono nei fumi dell’alcol, nello sbandamento e nel senso improvviso del pericolo. Ed è noto che queste condizioni possono scatenare in ogni momento la fuga disperata e l’esplosione della paura, che induce a spingere e calpestare l’amico che festeggia accanto, fino a ridurlo a vittima dell’“assenza di controllo”.

 

Un sottile sarcasmo sorge e si nasconde dietro il dramma delle dure parole rivolte ai responsabili della sicurezza: la cura delle masse aggregate di soggetti potenzialmente privi di controllo, che produce vittime, si deve pagare cara. Eppure non si tratta di bestie e di pastori disattenti.

 

Quanto moralismo e senso della censura risiede in quanti si permettono di non interferire con il meccanismo di legittimazione del nulla, a partire dall’interno delle nostre case, quando i più piccoli iniziano a coltivare le passioni e come risposta trovano il disinteresse, pago dell’aver gestito bene tutti i rischi con la garanzia della mera sopravvivenza.

 

Paolo Masciocchi


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