“Bail In” banche in crisi, rischiano azionisti, obbligazionisti e correntisti. Spiegazioni
Due parole, come sempre in questi casi prese in prestito dall’inglese, che hanno agitato le ultime settimane del 2015: bail in. Letteralmente “salvataggio interno”, sostanzialmente “rischio per azionisti, obbligazionisti e correntisti”. Dal 1° gennaio 2016 sono entrate in vigore le nuove misure europee in termini di salvataggio degli istituti di credito in crisi attraverso l’uso di risorse private interne, al fine di evitare che lo stesso vada a gravare sui soldi pubblici e quindi, su contribuenti e deficit. Ma cosa si intende veramente per bail in? Qual è la scala gerarchica del rischio introdotta? Vediamolo assieme.
DAL BAIL OUT AL BAIL IN – Era la prima settimana del dicembre 2015 quando il termine “bail in” entrò copiosamente nel linguaggio quotidiano degli italiani. Erano i giorni del fallimento di Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti (CariChieti).
– Erano i giorni del decreto salva-Banche, dei dibattiti sul chi dovesse pagare per il fallimento degli istituti di credito, sulle polemiche tra Italia ed Europa sul nuovo meccanismo di salvataggio delle banche.
– Insomma, erano i giorni in cui, per molti inconsapevolmente, si stava tracciando un confine netto rispetto al passato. Dal bail out al bail in; più semplicemente dal meccanismo di salvataggio esterno a quello interno. Dove per esterno si intende soldi pubblici, leggasi tasse e contribuenti e dove per interno si intende investimenti, leggasi azionisti e obbligazionisti.
LA SOLUZIONE INTERNA DEL BAIL IN – Una serie di misure preventive volte ad evitare crisi e dissesti degli istituti di credito e, qualora queste non dovessero sortire effetti, un meccanismo per la gestione della crisi stessa e della risoluzione della banca.
– Un sistema interno, come detto in precedenza; un sistema da svolgersi sotto il controllo dell’Autorità di risoluzione, ossia Bce e Banca d’Italia.
– Un sistema che non va più ad impattare sui conti pubblici e, a scalare, su contribuenti e deficit, ma che ha un legame diretto con gli investitori, azionisti o obbligazionisti che siano e che è volto a sensibilizzare e ad evitare condotte di “azzardo morale” da parte dei banchieri.
LA GERARCHIA DEL RISCHIO – Come visto con il caso delle 4 Banche italiane fallite, il meccanismo del bail in mette di fatto fine all’idea dell’istituto di credito come “porto sicuro” dove parcheggiare i risparmi. C’è bisogno di consapevolezza sui rischi, è necessaria la conoscenza e la trasparenza, è fondamentale un nuovo rapporto tra la banca ed i suoi clienti.
– In caso di crisi la procedura di risoluzione va ad impattare in primo luogo sul capitale degli azionisti, ossia quei soggetti che sono proprietari di una quota della banca e che, di fatto, vedranno azzerarsi il valore delle loro azioni.
– Qualora il contributo degli azionisti non sarà sufficiente, sono chiamati ad intervenire a cascata anche altre categorie di investitori, come coloro che hanno sottoscritto azioni di risparmio e obbligazioni convertibili in azioni.
– A questo punto, sempre se non esaurito il necessario, si passerà ai titoli subordinati senza garanzia e, infine, ai crediti non garantiti, come le obbligazioni bancarie.
– Gli ultimi ad essere aggrediti sono i detentori di conti correnti superiori ai 100.000 euro delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese, ma per la parte eccedente alla soglia dei 100.000 euro visto che fino a tale cifra vale il Fondo di garanzia dei depositi; da tenere presente che la cifra sale a 200.000 euro se il conto è cointestato.
COME MISURARE IL RISCHIO? – A questo punto la domanda è inevitabile. E’ sicuramente utile prestare attenzione all’indice Common Equity Tier 1 che tutte le banche quotate sono tenute a comunicare con i conti trimestrali; indice che misura la patrimonializzazione della banca e che deve essere superiore all’8% secondo le norme della Bce.
– Conoscenza e attenzione sono necessarie, ma allora diventa fondamentale cercare di capire come valutare il rischio, partendo dall’assunto che il rendimento di un investimento è indissolubilmente proporzionato al rischio stesso.
– Assunto che tradotto significa: più una banca è solida, meno può permettersi di pagare la raccolta su fondi e depositi a correntisti, risparmiatori e investitori. Chi vuole tassi più alti in banca rischia di più e dal 1° gennaio 2016 deve prepararsi, in caso di dissesto, a pagare per primo.
Matteo Torti
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