Quantitative Easing Bce, analisi del piano di acquisto di titoli di Stato lanciato da Draghi
A quasi sei anni di distanza da quanto fatto dalla Federal Reserve e dalla Bank of England, anche la Bce decide di lanciare il suo personalissimo Quantitative Easing. Draghi ha annunciato ieri l’avvio del piano di acquisti di titoli pubblici per un controvalore di 60 miliardi di euro al mese, che inizierà il prossimo marzo e durerà almeno fino a settembre 2016. Obiettivo unico quello di contrastare la gelata dei prezzi che per dicembre 2014 hanno mostrato una contrazione dello 0,2% nell’Eurozona.
L’ANNUNCIO DI MARIO DRAGHI – Sono da poco passate le 14.30 del 21 gennaio 2015 quando Mario Draghi, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio direttivo, annuncia l’avvio del Quantitative Easing. La Bce ha deciso di acquistare titoli di Stato con scadenze fra 2 e 20 anni per un controvalore di 1140 miliardi di euro nell’arco di 19 mesi.
– L’obiettivo di tale mossa, da molti mesi paventata ma, ancora, mai realizzata dalla Bce, è quello di riportare i prezzi verso un aumento fisiologico dei prezzi. Tendente, ma inferiore, al 2% annuo.
LA REAZIONE DELLA BUNDESBANK – La resistenza da parte del partito dei “falchi”, tra cui svetta Jens Weidmann governatore della Bundesbank, è stata vinta, ma solo in parte. Il motivo? Presto spiegato da una delle condizioni previste nella misura annunciata ieri.
– L’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, infatti, verrà realizzato con un criterio di ripartizione del rischio che prevede che le Banche centrali dei Paesi interessati garantiranno per una quota pari all’80% del totale, mentre solamente il 20% sarà garantito e condiviso tra Bce e Banche centrali nazionali.
– Mario Draghi si è comunque mostrato sicuro che l’aspetto del “risk sharing” non influisca in qualunque modo sull’esito del piano: “Sono stupito del fatto che la questione della condivisione dei rischi sia diventata la cosa più importante. Chiediamoci se sia una scelta così fondamentale per l’efficacia del piano, noi riteniamo di no”.
LA REAZIONE SUI MERCATI – Un movimento da manuale. Le attese sono state rispettate quindi era lecito aspettarsi una ritrovata fiducia delle Borse e un calo dell’Euro e dello Spread. Uno degli obiettivi del Qe è proprio quello di ridare al mercato finanziario quella stabilità auspicabile.
– Piazza Affari ieri, dopo aver guadagnato fino al 2,7%, ha chiuso ampiamente in positivo facendo registrare un + 2,44%; valore positivo anche per tutti gli altri indici borsistici europei.
– Trend inevitabile anche per l’euro che, sulla scorta delle parole di Draghi, ha chiuso in ribasso nei confronti del Dollaro, cadendo al di sotto della soglia dell’1,14. Stessa sorte per lo spread tra Btp e Bund tedesco, che è sceso da 128 punti base sino a 108.
– Ha raffreddato un po’ gli entusiasmi finanziari l’annuncio che il Quantitative Easing preveda la clausola del “risk sharing”. Una indicazione che ha di fatto rallentato il rally dei titoli di Stato dei paesi periferici dell’Eurozona.
FACCIAMO UN PASSO INDIETRO: COS’E’ IL QUANTITATIVE EASING? – Una decisione importante, forse la più importante di Mario Draghi da governatore della Bce; una decisione comune, presa senza alcuna spaccatura dal consiglio direttivo della Bce.
– Il Quantitative Easing europeo è realtà: dal 1° marzo l’istituto di Francoforte acquisterà al ritmo di 60 miliardi di euro al mese asset del settore pubblico e privato, e in particolare i titoli di Stato emessi dagli Stati europei. Un piano di acquisti gravato dalla clausola del 33%, che prevede che la Bce non potrà acquistare più del 33% dei titoli emessi da ciascun emittente.
– La filosofia di partenza su cui si fonda il Quantitative Easing è molto semplice: stampare moneta e comprare, con la stessa, titoli di Stato sul mercato finanziario. Una misura che genera indubbiamente due effetti: da un lato lo stampare moneta fa deprezzare la stessa; dall’altro, la Bce, acquistando titoli di Stato, contribuisce al fatto che gli stessi emittenti paghino tassi di interesse più bassi sul debito contratto, perché va a stabilizzare il mercato finanziario.
– Quindi da un lato si agisce sull’inflazione stampando moneta ed evitando lo spettro di una deflazione che ormai è realtà; dall’altro si va a stabilizzare il mercato finanziario mitigando la turbolenza e dando vantaggi all’economia d’impresa.
IL PARAGONE CON GLI USA – “Il problema del Qe è che funziona nella pratica, ma non nella teoria”: così disse Ben Bernanke, governatore della Fed all’epoca del lancio del Qe oltreoceano. Un’idea a cui si oppongono fortemente gli scettici che sostengono che il Qe europeo avrà un effetto decisamente minore rispetto a quello generato in Usa.
– Questo perché l’Europa, e soprattutto molti dei suoi Stati periferici, hanno una difficoltà congenita a trasferire le politiche monetarie all’economia reale; e questo per un semplice motivo: perché l’economia europea è diversa, per struttura e filosofia, da quella americana.
– In America il ricorso delle aziende al mercato dei capitali è cosa naturale e semplice; in Europa, specie nei Paesi del Sud, la costellazione di piccole aziende rende più difficile questa pratica. Anche per colpa di un sistema bancario incancrenito su se stesso. E’ sufficiente analizzare i dati: se in un anno il rendimento del Btp decennale è calato dal 4,09% all’1,76%, i tassi bancari non sono calati della stessa velocità, ma sono passati dal 3,80% al 3,48%.
– E poi c’è la questione dei “falchi”, ossia dei rappresentati dei virtuosi Stati del Nord-Europa che non vedono di buon occhio le politiche espansive. Negli Usa il Qe è stato affiancato da una crescita esponenziale del deficit; in Europa ciò non avviene e non avverrà mai.
L’AUSPICIO DI PADOAN – “C’è più potere d’acquisto e anche più certezza per il futuro”. Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia italiano, non ha dubbi sulla buona riuscita del Qe targato Bce.
– “Ci sono buone ragioni per aumentare la fiducia, quindi l’invito a famiglie e imprese, che nel frattempo stanno aggiustando i loro bilanci è che si può iniziare a spendere di più”.
– Si tratta di “uno strumento di politica finanziaria, ma monetaria. Il punto non è quello di intervenire in aiuto dei debiti pubblici sovrani, ma di immettere liquidità nel sistema e liberarla per il credito e l’attività produttiva”.
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Matteo Torti