Uscire dall’euro e tornare alla lira: le conseguenze tra inflazione, esportazioni, debito pubblico e stipendi
L’economia va male? Colpa dell’euro e delle banche. Se sulle seconde è difficile agire, la ricetta per risolvere il primo problema è evidente: tornare alla moneta nazionale, la lira. E’ questo, in sintesi, il pensiero di chi vorrebbe fare un “passo indietro” sull’unione monetaria europea. Facile a dirsi, ma quali potrebbero essere le conseguenze in Italia? La riadozione della lira porterebbe giovamenti e benefici agli italiani? L’analisi completa nelle prossime righe.
GLI “EURO-SCETTICI” – Paese che vai, “Grillo” che trovi. Con questo paragrafo, nel precedente articolo, abbiamo introdotto ed analizzato la situazione dei partiti e movimento “euro-scettici” nel resto d’Europa.
– Se in Italia questa linea di pensiero è di facoltà del MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo, anche altri importanti Paesi europei possono “fregiarsi” di avere forze politiche in grado di raccogliere consensi contrari all’euro tra la popolazione.
– E’ quanto accaduto in Grecia con Syriza e, di recente, con la nascita del movimento Dracma a 5 Stelle o in Francia con Front National di Marine Le Pen piuttosto che in Germania con AfD di Bernd Lucke o in Islanda con Bjarni Benediktsson.
– Movimenti molto differenti tra loro, in parte per programma e in parte per collocazione politica, ma uniti da un unico credo: staremmo tutti meglio con, ciascuno, la propria moneta nazionale. Come a dire: lira, dracma, franco francese, marco e corona islandese (peraltro ancora vigente visto che l’Islanda non fa parte dell’Eurozona) sono migliori dell’euro.
USCIRE DALL’EURO: LA PROPOSTA ITALIANA – Se Beppe Grillo è da diversi mesi che punta l’indice contro i banchieri e l’euro per giustificare parte della crisi attuale, è stata la Lega Nord con il suo segretario, Roberto Maroni, a presentare al Parlamento italiano, lo scorso 15 aprile 2013, una proposta di legge di iniziativa popolare che consentirebbe di indire un referendum per chiedere agli italiani se vogliano, o meno, rimanere nell’Eurozona.
– In realtà è dal 15 agosto 2012 che il Carroccio ragiona su questa idea; allora il segretario della Lega Nord aveva così dichiarato: “Presenteremo a fine agosto in Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare per abbinare alle politiche del 2013 un referendum consultivo nel quale i cittadini italiani possono esprimersi sull’euro. Voglio raccogliere milioni di firme”.
– Le firme hanno superato il limite minimo previsto dalla Costituzione di 50mila per presentare un disegno di legge su iniziativa popolare; il documento presentato al Senato propone l’introduzione “del principio di ammissibilità per i referendum abrogativi sulle leggi tributarie e di ratifica dei trattati internazionali”.
– Come mai c’è necessità di una modifica costituzionale? Perché l’articolo 75 della nostra carta vieta la possibilità di indire referendum abrogativi sui due temi sopracitati, rendendo impossibile una consultazione popolare sulla permanenza italiana nell’euro.
– La riuscita di questo progetto è appesa ad un filo visto che la Lega Nord potrebbe trovare degli appoggi solamente nel MoVimento 5 Stelle ed in Sel, ma non certamente nel Pd, nel Pdl ed in Scelta Civica.
JOSEPH STIGLITZ: UN PREMIO NOBEL “GRILLINO” – Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001 sul tema delle asimmetrie informative e dello screening (modalità con cui un individuo possa acquisire informazioni private da un altro soggetto), non è nuovo ad affermazioni che destano scalpore.
– Dopo aver sostenuto e partecipato, nel 2011, ad Occupy Wall Street, il 12 aprile del 2013 si è schierato dalla parte di Beppe Grillo affermando: “L’Italia è vittima di un fallimento dell’austerity europea, state pagando un prezzo più elevato della Grande Depressione, le vostre imprese sono penalizzate a tutto vantaggio di quelle tedesche. Non accusate Beppe Grillo di populismo: i temi che solleva sono legittimi, compresa l’opzione estrema di un’uscita dall’euro”.
– L’ex consigliere di Clinton alla Casa Bianca ha poi spiegato che “alcune posizioni del M5S sono fondate: un Paese come l’Italia potrebbe arrivare fino al punto di dover abbandonare l’euro per salvare l’Europa”, per poi ritracciare parzialmente e chiudere su binari più razionali “sarebbe preferibile di no, sarebbe meglio che fosse l’Europa ad abbandonare l’austerity”.
– Affermazioni e tesi sostenute dal fatto che “la competizione fra nazioni europee non è mai stata così diseguale. Le imprese italiane oggi devono pagare tassi d’interesse molto più alti delle imprese tedesche, anche ammesso che riescano ad avere accesso al credito bancario. Questa non è concorrenza leale, è un mercato squilibrato, altamente instabile. Se non cambia, non vedo via d’uscita”.
VENIAMO AGLI ASPETTI PRATICI – Dopo questa doverosa ed interessante introduzione, torniamo al vero tema dell’articolo. E’ possibile uscire dall’euro? Quali potrebbero essere le conseguenze positive e negative da questa azione? Gli italiani potrebbero essere più liberi, benestanti ed occupati se fosse reintrodotta la lira?
– Tralasciando la de-sesterziarizzazione seguita alla caduta dell’Impero Romano e la de-rublizzazione a seguito della caduta dell’Urss, non ci sono veri e propri case study su cosa accadrebbe se uno stato decidesse di uscire dalla moneta unica.
– Ci sono, però, diversi studi ed analisi che specificano, innanzitutto, che gli effetti sugli altri Paesi aderenti e non sarebbero differenti se a lasciare fosse una nazione economicamente “inferiore” (come Grecia, Portogallo o Spagna) piuttosto che un colosso economico come la Germania.
– In che cosa consiste la differenza? Molto semplice. Se a lasciare fosse una nazione del primo gruppo, il ritorno alla moneta locale porrebbe come obiettivo la svalutazione della stessa per rilanciare l’economia nazionale tramite le esportazioni. Questo, però, genererebbe effetti negativi sugli altri Stati “deboli” vincolati alle dinamiche dell’euro.
– Se invece a lasciare fosse una nazione fortemente industrializzata non ci sarebbe bisogno di svalutare la moneta locale (sarebbe addirittura svantaggioso) ed il resto dell’area euro potrebbe trarne beneficio da un rafforzamento della nuova divisa locale.
– Facciamo un esempio pratico. Se a lasciare fosse la Spagna, la svalutazione della peseta porterebbe le esportazioni iberiche a surclassare quelle portoghesi, vincolate dall’euro. Se a lasciare fosse la Germania, il marco aumenterebbe il proprio valore grazie ad un’economia interna sostenuta e ad un tasso di occupazione alto e solido e ciò potrerebbe ripercussioni positive sul resto dell’Eurozona, anche perché le nazioni rimanenti avrebbero maggiore peso politico per influenzare le scelte economiche della Bce.
– E’ evidente, però, che ipotizzare l’uscita di una nazione forte ed importante come la Germania non può, da sola, risolvere i problemi. L’euro, senza il Paese che da solo detiene ¼ del mercato, vedrebbe ridurre notevolmente la propria stabilità e la propria affidabilità verso gli investitori stranieri, riducendo la sua importanza ed il suo valore.
TORNARE ALLA LIRA: PERCHE’ SI’ – Chi sostiene che uscire dall’euro e tornare alla lira sia favorevole per la popolazione italiana quali argomentazioni porta a sostegno della propria tesi? Vediamone qualcuna.
– Il ritorno alla lira, secondo i fautori di questa strategia, portebbe il governo a ridurre le tasse durante le crisi economiche perché non dovrebbe più rispettare vincoli di bilanci stabiliti a livello europeo.
– Legato al tema della tassazione c’è anche quello delle accise e, quindi, della benzina. Carburante meno caro perché uno Stato a moneta sovrana è libero di stampare moneta e, quindi, non ci si finanzierebbe solamente con l’imposizione fiscale e/o la riduzione di spesa pubblica, ma semplicemente stampando denaro. Questo, però, porterebbe un notevole aumento del debito pubblico ed un ritorno a quelle politiche che hanno dominato nel nostro Paese negli ultimi decenni del secolo scorso.
– “L’euro di Serie B” creato a Cipro con il prelievo forzoso dei correntisti delle malsane banche dell’isola del Mediterraneo è stata una prova di quanto potrebbe accadere, nei prossimi anni, a tutti i Paesi del Sud-Europa: saranno i depositanti a pagare il fallimento dei banchieri.
– Lo Stato dovrebbe tornare ad adempiere all’unico compito per cui esiste: garantire a tutti la sicurezza del futuro.
USCIRE DALL’EURO: PERCHE’ NO – A queste motivazioni teoriche ne fanno da contraltare altre, decisamente più pratiche e concrete, che suggeriscono che la strategia di uscire dall’euro e tornare alla lira possa non rivelarsi la scelta migliore. Quattro, in questo caso, i motivi per rimanere nell’unione monetaria.
– Le importazioni: Iniziamo da qui. I fautori del ritorno alla moneta nazionale portano, come potenziale beneficio, quello di svalutare la moneta e rilanciare le proprie esportazioni. Certo, ma ci si dimentica di due fattori: l’export italiano non va affatto male e, quindi, non necessita di un pesante piano di risanamento; inoltre l’Italia non è solo una nazione esportartice ma, anzi, è prevalentemente importatrice di materie prime (gas e petrolio su tutti) necessarie per soddisfare il deficit energetico e per garantire l’operatività a quel tessuto industriale e manifatturiero che eccelle nel nostro Paese.
– Fuga di capitali: La Repubblica Ceca e la Slovacchia, negli anni ’90, hanno realizzato un’operazione simile; i rischi associati sono da legare anche ad una possibile fuga di capitali. Per questo è necessaria un’operazione-lampo, per evitare che qualora la notizia raggiunga le sale finanziarie si possa scatenare una fuga di capitali verso nazioni con valute più forti e più sicure.
– Il debito: Attualmente il debito pubblico italiano è quotato in euro e vale, all’incirca, 2 mila miliardi. In caso di uscita dall’unione monetaria i possessori dei titoli di Stato (soprattutto le istituzioni finanziarie estere che detengono 1/3 del nostro indebitamento pubblico) difficilmente accetterebbero di convertire i loro crediti in una valuta che vale meno. E’ probabile, in questo caso, che il nostro Paese debba comunque provvedere alla restituzione dello stock in euro a fronte di un Pil espresso in lire, tra l’altro svalutate. Il rapporto deficit/Pil, ad oggi al 130% e principale indicatore macro-economico di stabilità di un Paese, rischierebbe di schizzare al rialzo al di sopra di quota 150%.
– Inflazione e tassi di interesse: e’ quanto si è già visto negli anni ’70 ed ‘80. Svalutazione di moneta significa, soprattutto, inflazione alle stelle a causa del maggior costo dei prodotti importati. Prezzi alle stelle significano, soprattutto, rendimenti più elevati sui titoli di Stato. Titoli di Stato alle stelle significano, soprattutto, aumento degli interessi che lo Stato dovrebbe pagare per finanziarsi e, quindi, maggiore indebitamento.
LA CONCLUSIONE – La decisione, quindi, potrebbe ricondursi nuovamente ad un contesto di equità intergenerazionale. Sul breve il ritorno alla lira potrebbe dare un buon slancio all’economia italiana, ma dopo pochi mesi gli effetti negativi sopravanzerebbero ampiamente quelli positivi.
– Nonostante ogni tanto usi delle affermazioni un po’ forti e si schieri in modo anti-conformista, il premio Nobel Joseph Stiglitz ha definito molto bene la questione – e non c’è da meravigliarsi visto che vanta cattedre al MIT di Boston alla Yale del Connecticut ed alla Columbia di New York.
– “Sarebbe meglio che fosse l’Europa ad abbandonare l’austerity – disse lo scorso 12 aprile Stiglitz – piuttosto che l’Italia a lasciare l‘euro”.
– Sebbene possano non essere condivisibili i programmi delle forze politiche “euro-scettiche”, a queste bisogna riconoscere un merito: raggiungendo una quota così ampia di consensi, stanno spingendo i partiti tradizionali a riorientare le proprie linee di pensiero verso questi cardini per riconquistare l’elettorato perso.
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Matteo Torti