Erbe cinesi importate a Milano, risultati ricerca di Greenpeace in 7 Paesi del mondo. Italia compresa
C’è anche Milano nel campione di città scelto dagli attivisti di Greenpeace nell’ambito della loro inchiesta indipendente sui prodotti cinesi a base di erbe. Un’indagine che è stata condotta in 7 Paesi del mondo: Canada, Francia, Germania, Olanda, Regno Unito e Usa. E, appunto, Italia. E dai risultati emersi, c’è di che stare poco tranquilli.
Secondo lo studio, effettuato tra novembre 2012 e aprile 2013, “nell’87,5% dei casi queste erbe contenevano tre o più pesticidi killer per la salute”. Apparterrebbero a ben 23 specie differenti i pesticidi rinvenuti, per esempio, nei tre campioni di bacche digoji, bulbi di giglio e datteri acquistati a Milano. E di questi, due sarebbero “vietati perfino in Cina (phorate e carbofuran), trovati rispettivamente nei bulbi di giglio e nelle bacche di goji. Il livello di carbofuran rilevato nelle bacche di goji era pari al livello massimo di residuo (Lmr) previsto dalle autorità, che di per sé – come ha puntualizzato Greenpeace – non andrebbe preso come garanzia di livelli sicuri di residui di sostanze chimiche”.
Le erbe in questione – prelevate in 36 campioni nei Paesi presi in esame – riguarderebbero prodotti erboristici importati direttamente dalla Cina. Si tratterebbe, tra gli altri, di caprifoglio, boccioli di rosa, ‘san qì (Panax pseudoginseng ) e i già citati bulbi di giglio, datteri e bacche di goji. Prodotti che, come sottolinea l’indagine, vengono acquistati perlopiù per le loro “proprietà medicinali, ma le analisi eseguite hanno rilevato che la maggioranza dei campioni conteneva un cocktail di pesticidi, alcuni dei quali molto pericolosi.
32 su 36 dei campioni analizzati (87,5%), contenevano infatti tre o più tipi di pesticidi.
Mentre – precisa il rapporto – in 17 su 36 (47%) erano presenti residui di sostanze classificate dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) come “estremamente pericolose”. Un beffardo paradosso, se si considera che la millenaria medicina tradizionale cinese fa dell’uso delle erbe naturali, con i benefici che esse apportano al corpo e alla mente, il suo punto di forza.
Quelli di Greenpeace sono numeri che non possono lasciare indifferenti e gettano un’ulteriore ombra sulla bontà dei prodotti in arrivo dall’ex Impero Celeste, spesso a prezzi concorrenziali. Se dal giugno 2007, l’Unione Europea ha adottato la normativa “Reach”, con la quale si intende regolamentare e controllare la quantità di sostanze chimiche presenti nei beni di consumo, Greenpeace offre una soluzione più radicale: «Bisogna favorire l’agricoltura ecologica. Questo è l’ennesimo esempio del fallimento dell’agricoltura di stampo industriale dipendente dalla chimica».
Se i cinesi possono considerarsi più che soddisfatti dal valore generato dalle loro esportazioni di erbe (nel 2011 hanno raggiunto un valore di 2,33 miliardi di dollari, con un incremento sull’anno precedente del 36,48%), qualche preoccupazione in più, invece, la nutriranno da ora in poi i troppo spesso indifesi consumatori.
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Di Redazione