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Smantellamento torri Expo Gate Milano, oltre 3 milioni di euro buttati dalla finestra. Numeri, dati Expo, fotogallery

expogateLe gigantografie dei numeri  “2” e “1”, di un bel rosso scarlatto, a formare il ventuno. Come le edizioni dell’Esposizione internazionale del design della Triennale.  Era stata questa, nel novembre dello scorso anno, l’ultima trovata per rivitalizzare le facciate delle due contestate piramidi in vetro e acciaio dell’Expo Gate di largo Cairoli – simbolica porta d’ingresso all’Esposizione universale del 2015 (almeno nelle intenzioni) – adibendole a biglietteria e infopoint dell’evento di Viale Romagna. Ultimo estremo tentativo di  dare nuova vita a quella che si appresta a passare alla storia milanese come una delle scelte urbanistico-architettoniche più contestate di sempre.  E che presto rimarrà solo un (brutto, per molti) ricordo. I lavori di smantellamento,  iniziati alcune settimane fa per quanto riguarda gli interni, procedono a ritmo serrato, coinvolgendo ora l‘intera struttura. Ma c’è poco di che rallegrarsi. Lo spauracchio di un’Expo usa-e-getta, paventato da molti alla vigilia, è forse più che un sospetto.
DOPO LE POLEMICHE LA PROROGA – Facciamo un passo indietro. I due avveniristici padiglioni di 18 metri d’altezza ciascuno, a firma dell’architetto Alessandro Scandurra dell’omonimo studio, erano stati presentati in pompa magna il 10 maggio 2014, davanti a una manciata di presenti. Mix tra punto informazioni-rivendita biglietti-souvenir e spazio per eventi, l’opera aveva presto finito col dividere addetti ai lavori e semplici cittadini, sollevando grandi critiche, non solo di carattere estetico. Su tutte, la scelta di posizionare le due ingombranti piramidi in via Beltrami, a pochi passi da piazza Castello, oscurando la ben più prestigiosa torre del Filarete.
– Nonostante le bocciature di Italia Nostra e Fai, e quelle di alcuni illustri critici d’arte come Vittorio Sgarbi (“Immondi padiglioni coprono un simbolo di Milano: il Castello sforzesco”) e Philippe Daverio (“Sembra l‘opera di un architetto che non è mai stato a Milano“; “Sarà la Tour Eiffel de noantri”), l’Expo Gate era  stato in qualche modo “digerito” dalla Sovrintendenza perché dichiarato temporaneo.
– Ma all’indomani della conclusione della kermesse milanese, ormai un anno fa, la maggioranza di centrosinistra si era espressa in sede di Consiglio comunale a favore della permanenza delle due “porte” per un altro anno. E comunque, non oltre la fine del 2016. Alla base della decisione la richiesta della Triennale di ereditare la gestione dei due manufatti per l’imminente Esposizione del design, andata poi in scena dal 2 aprile al 12 settembre scorsi.
COSTATO OLTRE 3 MILIONI DI EURO – Ora, scongiurata l’ipotesi che l’ex avamposto di Expo 2015 diventasse una sorta di nuovo corredo futurista  al quattrocentesco Castello Sforzesco, magari sulla falsa riga della piramide di vetro del parigino Louvre, e decaduta la possibilità di una sua riedificazione in sede da destinarsi per via degli alti costi di rimontaggio, rimane da chiedersi se un progetto costato tra i 3 e i 5 milioni di euro (bruscolini in confronto ai 92 spesi per il solo padiglione Italia) e destinato a una costosa demolizione fosse davvero necessario.
ERA DAVVERO NECESSARIO? – Per il Codacons la condanna è senza appello: “Un’opera inutile, che ha occluso la visuale del Castello Sforzesco ai turisti“ e “che ha creato disagi di movimentazione” verso lo stesso Castello.
– Ne sanno qualcosa i residenti e commercianti della zona che  accompagnarono la nascita dell’Expo Gate a suon di proteste e petizioni. Bersaglio principale le sostanziali modifiche alla viabilità che hanno interessato largo Cairoli per permetterne la pedonalizzazione, e colpevoli – a loro dire  – di un aumento del traffico nelle vie limitrofe, a danno dei parcheggi per i residenti, e del calo di afflusso di clienti per i negozi.
– Dal canto suo, Vittorio Sgarbi – nominato ai tempi ambasciatore Expo 2015 per le Belle Arti dal presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni – dalle pagine del “Giornale” (marzo 2014) aveva messo in guardia che “è una follia spendere, cioè buttare, milioni di euro che si sarebbero potuti utilizzare per restaurare un castello lombardo, una cascina, un monumento”. Ma a qualcuno, allora, il parere dell’esuberante critico d’arte di Ferrara dev’essere sembrato l’ennesima sparata a zero contro tutto e tutti per puro amor di provocazione.
SCARSA LUNGIMIRANZA E SPRECHI – Peccato che così non sia stato. Perlomeno a giudicare dall’epilogo. L’ingloriosa fine dei due padiglioni ribadisce ancora una volta la preoccupante scarsità di lungimiranza e di idee dei nostri amministratori, come già avvenuto in occasione del tormentato dibattito sul futuro dell’area ex-Expo a Rho Fiera.
– Una mancanza di organizzazione e programmazione che mette il sigillo a una politica sempre più all’insegna degli sprechi e del populismo a buon mercato. Peccato originale di cui il nostro Paese non riesce a fare evidentemente a meno. I conti di bilancio di Expo 2015 pubblicati a giugno dopo numerosi inspiegabili rinvii – e che sono valsi all’allora candidato sindaco di Milano ed ex amministratore unico della società, Giuseppe Sala, gli strali dei suoi avversari politici – la dicono lunga. Costata in poco più di sei anni la bellezza di 2,2 miliardi di euro, a fronte di contributi pubblici per ben 1.258,7 milioni, ha portato a casa solo 30,7 milioni. La cifra scende ulteriormente a 23 milioni di euro sottraendo i 7,7 milioni per le spese di gestione fino al 18 febbraio 2016. Un po’ poco anche per le più ottimistiche valutazioni.
– Probabilmente è ancora troppo presto per quantificare la reale portata di queste cifre e l’eventuale ritorno d’immagine – in termini economici – di Expo 2015. L’unica certezza è che se ci sarà da mettere mano al portafoglio per varie ed eventuali, a farsene carico saranno i soliti noti: i contribuenti.

 S.P.

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