“La monaca di Monza” al PACTA Salone di Milano
La Monaca di Monza alias Suor Virginia Maria alias Marianna De Leyva da Manzoni, Diderot, Stendhal e gli atti del processo, dopo il successo della scorsa stagione torna al PACTA Salone di Milano dall’11 al 21 aprile con la regia di Annig Raimondi anche in scena con Alessandro Pazzi ed Eliel Ferreira de Sousa e chiude la rassegna DonneTeatroDiritti 2024.
L’interno di un convento è la scena della storia. Una grata immensa, un divisorio, un ostacolo per una storia d’amore.
Qui è la Monaca di Monza, personaggio complesso e misterioso, che riassume e rievoca molte caratteristiche dei diversi personaggi delle monache di clausura fra il ‘600 e l’800, dalla cronaca scandalosa alla letteratura e viceversa. Marianna De Leyva, nata a Milano nel 1575 da famiglia nobile, divenuta poi Suor Virginia Maria e coinvolta in uno scandalo che sconvolse la città di Monza, è stata resa immortale dal Manzoni che, unendo verità storica e finzione letteraria, nei Promessi Sposi la chiamò Gertrude, la Monaca di Monza o la Signora, inquietante ‘tessitrice di trame’.
Attingendo agli atti del processo che la riguardò, la messa in scena vuole evidenziare come la sua storia non si concluse con la sua scomparsa. Passioni e delitti. Stregoneria e travestimenti. Relazioni processuali, narrazione dei “successi” di famiglie illustri o delle “disgrazie” dei poveri diavoli. La scena diviene la cornice di un sublime femminile con tragiche eroine, ma anche cornice delle atrocità commesse dalla giustizia e dai suoi giudici a carico di persone accusate, torturate, riconosciute colpevoli senza prove definitive.
“Sulla vita della figura storica di Suor Virginia Maria – spiega Annig Raimondi, regista e attrice – esistono molti documenti. Certo, non si riuscirà mai a conoscere la verità. Proviamo però a sollevare una domanda, a riportarla in vita attraverso la relazione dei fatti e l’indagine che ci permettono Storia e Letteratura. Alla turbolenza del conflitto interiore e alla dinamicità delle vicende, si contrappone, quasi come un secondo processo, la staticità inquisitoria ma anche trasgressiva di uno sguardo maschile che interviene e che penetra nella più esclusiva società di donne, in questo ‘luogo di donne’, o loro prigione”.
“C’è un’implacabile geometria di spazi e di luci, ad attendere lo spettatore. Un Mondrian essenziale, volto a carpire i segreti pitagorici, matematici di un’ineffabile vicenda umana. L’intuizione iniziale di questo spettacolo è, già di per sé, oltremodo efficace: lo spirito apollineo della scenografia e dell’illuminotecnica si incontra, e si scontra, con lo spirito dionisiaco, ovvero l’alta temperatura emotiva espressa nel processo della Monaca di Monza. […] Annig Raimondi, che cura anche la regia e la drammaturgia, è letteralmente un mistero che cammina, anzi, incede con solennità sulla scena. I suoi fonemi sono presi giù, nel profondo ventre di Gea; le sue parole, come le pietre di Meister Eckhart, sono Dio, ma non sanno di esserlo. Suona secondo tutti i registri, tutte le partiture di un personaggio che sfugge decisamente a qualunque categorizzazione. Annig suona la sua anima come farebbe l’orchestra psichica di Pessoa, donando una persona per ogni singolo stato d’animo”.
Ph: Emma Terenzio