Referendum Svizzera contro l’immigrazione di massa, analisi e conseguenze per i frontalieri italiani
Desta preoccupazioni, ma non dovrebbe avere ripercussioni immediate. Stiamo parlando del referendum andato in scena domenica in Svizzera e che ha visto il 50,3% dei cittadini della Confederazione Elvetica esprimersi contro la libera circolazione in vigore con l’Unione Europea; il referendum “Contro l’immigrazione di massa” coinvolge soprattutto i 59mila frontalieri italiani che quotidianamente si recano nel Canton Ticino per lavorare e che, a detta dei cittadini svizzeri, accettano lavori classificati come ‘duri e usuranti’ a delle paghe inferiori a quelle chieste dai residenti locali.
DI COSA SI TRATTA? – L’iniziativa popolare è stata promossa dall’Udc, l’Unione di centro; si tratta del partito conservatore nazionalista e anti-europeo che sta spopolando al di là del confine. L’obiettivo è quello di bloccare l’accordo di libera circolazione in vigore con l’Ue introducendo dei severi limiti circa i lavoratori stranieri che si recano nello Stato elvetico.
– Tutti erano contro l’iniziativa, dal Governo al Parlamento, dalle associazioni di impresa fino ai sindacati, ma i Cantoni e, soprattutto, i cittadini si sono espressi contro la libera circolazione. Era necessaria la doppia maggioranza e così è stato.
– Se la maggioranza nei Cantoni era scontata, ha stupito tutti il dato emerso dalla consultazione popolare. Il 50,3% dei cittadini svizzeri è d’accordo con l’opposizione alla libera circolazione; spiccano i risultati del Canton Ticino, dove si sono espressi contro la libera circolazione addirittura il 68% dei cittadini. La maggioranza, invece, non è stata raggiunta nella Svizzera francese.
L’OBIETTIVO DELL’UDC – L’obiettivo dell’Udc, la formazione politica guidata dall’imprenditore politico Christoph Blocher, è quello di arrivare a rinegoziare con l’Unione Europea la contingentazione annuale per i lavoratori stranieri, ivi compresi quelli provenienti dall’Ue.
– Per fare questo, però, serviranno non meno di tre anni; c’è però la speranza che il Governo svizzero e l’istituzione con sede a Bruxelles possano trovare una nuova intesa. Nel Canton Ticino, in particolare, l’Udc chiede di limitare la presenza di frontalieri. E’ questa la situazione che preoccupa maggiormente gli italiani.
L’ECONOMIESUISSE CONTRO L’UDC – Bene, accettiamo la vostra proposta e l’idea del popolo, ma ora fate delle proposte concrete che evitino di produrre danni all’economia elvetica. Sembra essere questa la risposta dell’Economiesuisse al referendum indetto dall’Unione di centro.
– La principale associazione delle imprese svizzere, sin dall’inizio contraria alla consultazione “Contro l’immigrazione di massa” ha dovuto accettare la volontà del popolo, ma non si è tirata certo indietro: la strategia dell’Udc potrà andare bene solo se non avrà ripercussioni negative sull’economia nazionale.
– Tradotto significa: ora chi farà i lavori che fino ad adesso venivano fatti, con paghe più basse, dagli immigrati Ue o extra-Ue? Come si riuscirà a valorizzare le competenze locali e lo status di benessere a cui si sono abituati i cittadini elvetici per soddisfare l’offerta lavorativa di professioni dure e usuranti?
– Un’altra conseguenza potrebbe essere l’aumento del salario necessario che le aziende svizzere dovranno pagare per sostituire la manodopera estera con quella locale, disposta a svolgere determinate professioni solo dietro un aumento del compenso.
GLI EFFETTI DEL REFERENDUM – Con l’esito della consultazione popolare di domenica 9 febbraio 2014, nella Costituzione della Svizzera entra in vigore una nuova norma che obbliga a fissare un tetto massimo di stranieri che possono entrare nel Paese.
– Qui sorgono i primi problemi. Che risposte darà il Governo elvetico quando il numero dei richiedenti asilo politico supererà il tetto massimo? Si violerà la Convenzione di Ginevra firmata e ratificata anche dalla Svizzera?
– Questo limite massimo non potrà che avere un impatto anche sui cittadini esteri che lavorano in Svizzera; è questa la situazione tipica dei frontalieri delle province di Como, Varese e Lecco. Attualmente sono 59mila i lavoratori italiani che svolgono la loro professione al di là dei confini. Nei prossimi tre anni questo numero potrebbe subire drastiche riduzioni o rimanere flessibile a seconda delle esigenze lavorative svizzere.
SVIZZERA: CHI PUO’ LAVORARE NELLO STATO ELVETICO? – In Svizzera può lavorare solamente chi ha un valido permesso di soggiorno. Nel caso dei cittadini residenti in uno Stato dell’Ue, il permesso di soggiorno vale anche come permesso di lavoro.
– Permesso di soggiorno di breve durata. E’ il caso di un contratto di lavoro che ha una durata inferiore all’anno; viene rilasciato un permesso di soggiorno della durata equivalente al contratto di lavoro; ma se la durata del rapporto di lavoro è inferiore ai 3 mesi, i cittadini italiani non necessitano alcun tipo di permesso lavorativo.
– Permesso di dimora. Si passa al caso del contratto di lavoro che ha una durata superiore all’anno o illimitata o a quei lavoratori indipendenti che dimostrano di esercitare attività lucrativa indipendente. Il permesso è valido per 5 anni e viene prolungato.
– Permesso per i frontalieri. E’ il caso di quei lavoratori residenti in uno Stato Ue che lavorano in Svizzera. La conditio sine qua non è che il lavoratore torni almeno una volta alla settimana al luogo di domicilio fuori dalla Confederazione elvetica. Si seguono le regole precedenti: se il contratto di lavoro dura meno di un anno, il permesso equivale alla durata del rapporto lavorativo, altrimenti è valido per 5 anni ed è rinnovabile.
– Permesso di domicilio. E’ ottenibile dopo cinque anni da tutti i cittadini dell’Unione Europea. Il permesso ha durata illimitata, ma viene verificato ogni cinque anni.
LA REAZIONE DELL’ITALIA – Per chiudere questa disamina non resta che parlare della reazione che hanno avuto le istituzioni italiane al risultato elettorale elvetico.
– Emma Bonino, ministro degli Esteri del governo Letta, dichiarata che il risultato in termini quantitativi “è molto preoccupante sia per quanto riguarda l’Italia, ma anche per gli altri accordi con la Ue”. Il giudizio della Bonino è lo stesso di Laurent Fabius, collega francese.
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Matteo Torti