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Conviene investire su chi ha dividendi più alti? Le spiegazioni

EuroI dividendi hanno sempre rappresentato un indubbio elemento di attrazione per tutti coloro che sono alla ricerca di un approdo facilitato per i propri risparmi. Tuttavia, conviene veramente investire su chi promette maxi dividendi? O è meglio vederci un po’ più chiaro?

 MEGLIO ANDARCI CAUTI
In realtà, è meglio andarci cauti. Perché, come suggerisce su Plus24 dello scorso 9 aprile Gianfranco Ursino, investire nelle società che promettono dividendi più alti potrebbe essere addirittura molto rischioso.
Ma andiamo con ordine. Come ogni anno, l’arrivo della primavera coincide anche con l’arrivo della stagione dei dividendi, con le società quotate portate ad annunciare le proprie politiche distributive dei proventi relative all’anno precedente. E così, dopo le proposte di stacco deliberate dai consigli di amministrazione delle società quotate sui mercati regolamentati, arrivano le approvazioni delle assemblee degli azionisti.
Tuttavia, attenzione a non cedere alla tentazione dei facili annunci, perché ponderare il proprio investimento sulla base dei soli dividendi potrebbe essere molto, molto pericoloso. Meglio dunque valutare il proprio impiego in Borsa contemplando anche altri fattori, come ad esempio la valutazione del prezzo di mercato, le prospettive di crescita della società, l’origine dei flussi di cassa distribuiti e così via. Non sempre, ricordava il giornalista, alti dividendi si accompagnano a buone performance borsistiche.

DIVIDENDI E BANCHE
Un cenno di particolare riferimento spetta ad esempio al comparto bancario. Un settore particolarmente falcidiato dalle difficoltà – per quanto le prospettive indichino una concreta ripresa – e che anche in questi primi mesi del 2015 ha conseguito pesanti perdite. Il dividendo staccato dagli istituti di credito appare dunque essere una sorta di premio di consolazione per i rispettivi azionisti.
Tant’è che, ricorda Marcello Rubiu, partner di Norisk, “considerati gli attuali ratio patrimoniali la distribuzione di dividendi delle banche appare non particolarmente prudente. Se le vendite di Npl realizzate hanno dato un po’ di respiro, le svalutazioni prospettiche potrebbero essere elevate e richiedere aumenti di capitale. Un’eccezione potrebbe essere Intesa Sanpaolo”.

Insomma, sempre con specifico riferimento al mondo bancario, è come se da una parte agli azionisti venissero elargiti soldi con la “mano dei dividendi” e dall’altra parte una seconda mano richiedesse nuove somme da investire nella banca.
In aggiunta a ciò, meglio concentrarsi altresì sull’origine delle risorse utilizzate per pagare i dividendi. “Chi investe – continua Rubiu sulle pagine di Plus24 – non dovrebbe  basarsi sul dividendo prossimo alla distribuzione, scontato già da prezzo di borsa, ma su quelli futuri e prospettici. Quindi quelli correnti dovrebbero servire come una proiezione di quelli futuri e non devono però essere distorti da poste straordinarie e taroccamenti. Se i proventi arrivano da risultati gestionali non straordinari e coerenti con quanto registrato in passato può essere una strategia di investimento interessante. Altrimenti si rischia di comprare un’azione a prezzo pieno e incassare un dividendo ridotto del 26% dalle tasse”.

Ancora diverso il discorso delle società che, pur chiudendo il bilancio d’esercizio 2015 in perdita, preferiscono comunque distribuire dei dividendi. Il caso più lampante è quello di Eni, che ha chiuso il 2015 con risultati economici in discesa, ma ha comunque deciso di corrispondere dividendi. Merito – forse – del fatto che un terzo circa del capitale di Eni è in mano pubblica, e dunque i dividendi possono servire a contribuire a rimpinguare le casse statali. Simile l’atteggiamento di altre società che hanno chiuso l’anno in perdita, ma hanno comunque voluto staccare dividendi, come Telecom.
In tutti questi casi, considerando insufficienti i flussi di cassa, è possibile che i dividendi siano frutto, in tutto o in parte, di profitti realizzati negli anni precedenti o di eventi gestionali straordinari.

Insomma, quando si investe in Borsa sarebbe meglio non farlo guardando alla sola voce del dividendo. Una voce che può essere pur ghiotta e che in alcuni casi può far dimenticare cattive prestazioni sul fronte delle quotazioni sui mercati regolamentati, ma che altrettantoe volte può trarre in inganno, e condurre l’investitore all’interno di un impiego che nel medio termine si può rivelare particolarmente insoddisfacente.
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Pertanto, se avete proprio voglia di investire in una società poiché attratti dall’annuncio di grandi dividendi, meglio spendere qualche ora del vostro tempo per saperne un po’ di più. Date ad esempio un’occhiata al bilancio d’esercizio riclassificato, scoprendo in che modo si sia chiuso l’anno di riferimento del dividendo, e se in quell’esercizio sono stati generati flussi di cassa soddisfacenti per ripagare gli stacchi. Se così non fosse, provate a dare uno sguardo anche gli anni precedenti: è possibile che i soldi per pagare i dividendi possano provenire da accantonamenti effettuati negli anni precedenti (Saras ad esempio non pagava dividendo da un quinquennio, ma ha scelto di riprendere tale strategia proprio quest’anno).

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