Steatosi epatica non alcolica: colpito un italiano su quattro

16 settembre 2025 – Si chiama steatosi epatica non alcolica ma è meglio nota con il nome di “fegato grasso”. Si caratterizza dall’accumulo di trigliceridi nelle cellule epatiche ed è conseguenza di un eccesso di peso corporeo (tessuto adiposo viscerale associato a resistenza all’insulina) e di dislipidemia.
La malattia può portare ad un’infiammazione del fegato e degenerare fino alla cirrosi. In Italia interessa circa un adulto su quattro e può ora essere trattata con Gdue, un integratore alimentare contenente due alghe marine brune (Ascophyllum nodosum e Fucus vesiculosus) e Cromo picolinato.
E’ quanto evidenzia un recente studio italiano che è stato presentato al congresso nazionale della SINUT (Società Italiana di Nutraceutica) che si è svolto nei giorni scorsi a Bologna. Si tratta della prima ricerca condotta con Gdue su pazienti nel trattamento del “fegato grasso” (la steatosi epatica) con l’obiettivo di valutare il valore aggiunto del nutraceutico rispetto alla sola dieta nel trattamento della patologia.
Lo studio clinico, randomizzato e in doppio cieco, è stato condotto con la collaborazione della Clinica Gastroenterologica dell’Università di Genova diretta dal prof. Edoardo Giannini e sono stati arruolati 100 pazienti, affetti da sindrome metabolica con steatosi epatica, tutti con obesità centrale, randomizzati in doppio cieco in due gruppi di trattamento. A 50 persone è stato somministrato l’integratore alimentare mentre gli altri hanno invece ricevuto solo un placebo.
Tutti hanno seguito un regime calorico controllato e bilanciato nei nutrienti. Al basale e dopo sei mesi sono stati misurati i parametri lipidici-metabolici oltre che circonferenza vita, peso e la composizione corporea. La condizione del fegato è stata valutata attraverso una particolare tecnica ecografica chiamata Fibroscan CAP.
“Abbiamo osservato in tutti i partecipanti una diminuzione del peso in eccesso in virtù anche del regime alimentare ipocalorico impostato sul modello della dieta mediterranea – afferma Livia Pisciotta, Professore Associato di Scienze Dietetiche Applicate all’Università di Genova e Coordinatrice dello studio -. Il gruppo che ha assunto il nutraceutico ha avuto una riduzione statisticamente significativa dell’indice di massa corporea, sia a 3 che a 6 mesi. Grazie a Gdue la diminuzione media del peso è stata del 4,7% e quindi l’integratore si rivela un’opzione di trattamento valida per contrastare una delle principali cause del “fegato grasso”.
Dall’analisi finale è anche emerso, nel gruppo trattato rispetto al placebo, un aumento significativo della perdita di massa grassa e un incremento del colesterolo “buono” HDL. Quest’ultimo è stato un risultato, che non ci attendevamo così evidente, anche se già riscontrato in altri studi clinici condotti sul nutraceutico, e si confermano interessanti prospettive di studio sull’utilizzo dell’integratore anche per la prevenzione del rischio cardio-vascolare. Infine, dato rilevante, i livelli di grasso nel fegato, misurati con fibroscan-CAP, si sono ridotti significativamente superando, anche in questo caso, i valori ottenuti dalla sola dieta”. “Per la gestione della patologia al momento esistono pochi farmaci recentemente approvati che si stanno affacciando nella pratica clinica- prosegue la prof.ssa Pisciotta -.
Il fegato grasso è una malattia che può avere conseguenze gravi e degenerare fino allo sviluppo di cirrosi epatica o di epatocarcinoma. Interessa una persona su quattro in Italia e inoltre tende a colpire persone non più giovanissime e che hanno già una o più malattie croniche. La sua prevalenza tra i diabetici è più di due volte superiore rispetto ai tassi registrati nella popolazione generale.
Può interessare anche i bambini soprattutto in caso di obesità o di grave eccesso di peso. Il Gdue può essere una proposta di trattamento importante soprattutto nelle prime fasi di malattia, considerando anche che ha già dimostrato in vari studi farmacologici e clinici di ridurre i picchi della glicemia postprandiale in soggetti con prediabete e diabete e di ridurre il grasso nel fegato in studi su animali.
L’uso dell’integratore deve essere sempre accompagnato ad uno stile di vita sano a partire dell’alimentazione associata all’attività fisica regolare. Non sempre però per gli uomini e le donne, con problemi di sovrappeso, cambiano le proprie abitudini quotidiane e inoltre, la sola dieta senza perdita di peso può non essere sufficiente. In questi casi il contributo dell’integratore può diventare determinante.
La nutraceutica può quindi rappresentare un aiuto prezioso nella gestione di diverse patologie metaboliche”, a patto di ricorrere all’utilizzo di prodotti che abbiano dimostrato in varie condizioni un’efficacia attraverso studi rigorosi.


