Debito pubblico e debito privato: cosa sono, in quali percentuali sono presenti in Italia e nel mondo, soluzioni per uscire dalla crisi
L’economia, si sa, non finisce mai di sorprenderci. E le classifiche, in questo senso, hanno un ruolo molto interessante visto che, con chiarezza, mettono in luce aspetti che molti trascurano. Questa volta tocca al debito pubblico e a “suo fratello”, il debito privato. Sommando queste due grandezze scopriamo che il Paese con un indebitamento maggiore è il Portogallo, che arriva addirittura al 400%. Più distante il Giappone, stato con il maggior debito pubblico in termini assoluti, e la tanto vituperata Italia. Magra consolazione o fondamentali solidi per noi? Scopriamolo assieme, tralasciando i discorsi sull’equità intergenerazionale e sulla storia del debito pubblico italiano che abbiamo già affrontato in precedenza.
DEBITO PUBBLICO vs. DEBITO PRIVATO – Con il bombardamento di notizie economiche a cui siamo sottoposti quotidianamente, spiegare il significato di “debito pubblico” appare addirittura scontato.
– Giornali, tv, radio ed Internet ci aggiornano quotidianamente sulla massa di indebitamento che lo Stato, nel nostro caso quello italiano, vanta nei confronti di soggetti economici nazionali o esteri (individui, imprese, banche ed altri stati). Tali soggetti vantano crediti verso il Paese che ha emesso titoli di debito pubblico per finanziare il disavanzo del fabbisogno statale, ossia destinati a coprire il deficit pubblico che è irrimediabilmente presente nel bilancio dello Stato.
– L’attuale crisi economica ha aggiunto al concetto di debito pubblico anche quello di “debito privato”. La distinzione è molto semplice ed intuitiva: se con il primo si fa riferimento all’indebitamento detenuto da un soggetto pubblico, con il secondo termine si intende l’indebitamento delle famiglie e delle imprese di un determinato Paese.
– La somma di queste due grandezze (debito pubblico + debito privato), dà origine al debito aggregato; si tratta di un dato molto importante per valutare lo stato di salute di un Paese e, in particolar modo, la sostenibilità della ricchezza interna.
LA CRISI: DI CHI E’ LA COLPA? – Dopo aver introdotto il concetto di debito privato, qualcuno potrebbe anche osservare: ‘ma cosa c’entra con la crisi attuale?’ Il collegamento in effetti, non è immediato, ma è comunque molto semplice. L’attuale crisi economica, infatti, si è originata proprio nell’indebitamento privato, finendo poi per colpire anche quello pubblico.
– Cosa significa quanto appena detto? Altrettanto semplice: negli Usa prima, negli altri stati anglosassoni poi e nei Paesi periferici dell’Eurozona infine, l’attuale crisi economica si è originata dalla bolla dei debiti privati. Solo in un secondo tempo, grazie alle politiche necessarie a salvare gli istituti finanziari che avevano garantito il ‘credito facile’, la crisi ha coinvolto anche la sfera dell’indebitamento pubblico.
L’ESEMPIO AMERICANO … – Analizziamo il caso degli Usa. L’esempio è calzante, pertinente e molto eloquente: la crisi dei mutui subprime ha alla base proprio la ‘manica larga’ degli istituti finanziari a concedere una sorta di ‘indebitamento multi-livello’, trascurando del tutto le basilari valutazioni di merito creditizio dei soggetti.
– Il risultato? L’implosione del sistema, l’aumento delle insolvenze, il peggioramento dei bilanci degli istituti finanziari e la necessità delle amministrazioni pubbliche di intervenire a sanarli.
– A questo punto, come già anticipato, il gioco è semplice: crisi mutui subprime (debito privato) → salvataggio degli istituti (debito pubblico).
… E QUELLO DELL’EUROZONA – Tornando nel territorio dell’Eurozona, questa tesi è stata sostenuta anche da Vitor Constancio, vice-presidente della Bce, che ha dichiarato: “Penso che, per avere una storia più accurata riguardo le cause della crisi, dobbiamo guardare non solo alle politiche fiscali: gli squilibri si sono originati per lo più nella crescente spesa del settore privato, finanziata dal settore bancario dei Paesi debitori e creditori”.
– I dati, anche in questo caso, sono un valido supporto: in alcuni Paesi il debito pubblico, dal 1999 al 2007, è addirittura decresciuto; si pensi alla Spagna, dove è passato dal 62,4% del Pil al 36,3% o all’Irlanda, dove la riduzione è stata dal 47 al 25% del Pil.
– Stessa sorte anche per l’Italia, che ha visto una contrazione dal 113 al 103,3% tra il 1999 ed il 2007.
– E’ quindi possibile affermare che la crisi si è originata per la crescita del debito pubblico? No, è diminuito nei Paesi più colpiti dall’attuale fase recessiva.
– Se il debito pubblico è diminuito, tuttavia, altrettanto non si può dire per quello privato. In Grecia è aumentato del 217%; in Irlanda del 101%; in Spagna del 75,2%; in Portogallo del 49%. Questo è un campanello d’allarme molto importante: gli squilibri si sono generati sul fronte del debito privato, come testimoniano i dati.
– In tutto ciò, il fallimento di Lehman Brothers ha scatenato l’ondata recessiva anche nell’Eurozona. Molte banche hanno visto peggiorare drasticamente i propri bilanci per via dei titoli Lehman sottoscritti ed hanno ridotto la concessione del credito andando, di fatto, a smettere di ‘foraggiare’ cittadini ed imprese dei Paesi periferici (che si sono trovati a dover interrompere il processo di crescita ‘drogato’, che fino a quel momento erano riusciti a sviluppare).
– E’ solo con lo scoppio della crisi economica che il debito pubblico ha iniziato a salire (a titolo d’esempio, è quintuplicato in Irlanda ed è triplicato in Spagna). E’ questo, quindi, che testimonia come l’aumento del debito pubblico non sia la causa della crisi, ma una conseguenza dell’implosione della bolla del debito privato, gonfiata dai ‘favori creditizi’ che le banche del Nord Europa hanno concesso ai cittadini dei Paesi periferici.
DEBITO PUBBLICO E DEBITO PRIVATO: LE DIVERSE CLASSIFICHE – Già nel paragrafo precedente abbiamo evidenziato le differenze di andamento del debito pubblico e del debito privato, dal 1999 ad oggi: il primo calato nel pre-crisi ed aumentato nel post-crisi e il secondo dal trend inverso, almeno per quanto riguarda il periodo tra il 1999 ed il 2007.
– Combinando debito pubblico e debito privato, la classifica finale cambia radicalmente rispetto a quella che considera solamente la prima grandezza. E le sorprese non mancano. Ad iniziare dalla testa, dove non troviamo né il Giappone né l’Italia. Il primato va infatti al Portogallo, che ha un rapporto debito aggregato/Pil del 400%.
– I lusitani vantano un debito privato da record (più del 250% del Pil) ed un debito pubblico relativamente alto (circa il 120% del Pil). Al secondo posto troviamo il Giappone, che è lo stato con il debito pubblico più alto al mondo (secondo le stime del Fmi, nel 2012 era pari al 236,56% del Pil) e con un debito privato piuttosto basso, di poco maggiore al 150%.
– Le sorprese non finiscono qui. L’Italia, decima in classifica, vanta un debito aggregato del 250% del Pil, con una componente pubblica sopra il 130 e una componente privata sotto il 120% del Prodotto interno lordo. Davanti al nostro Paese troviamo Paesi come il Belgio, l’Olanda, l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti. Paesi, quest’ultimi, tutti con un debito pubblico sul Pil minore rispetto a quello italiano, ma con un indebitamento privato di 1,5-2 volte superiore al nostro.
– C’è poi il caso della Svizzera, undicesima classificata, che vanta un debito aggregato di pochi punti inferiore al nostro. Le stime del Fmi per il 2012 sono di un rapporto indebitamento/Pil del 46,71%; ben maggiore la componente di debito privato che sfiora il 200% del Pil.
– Discorso particolare per la Grecia, che si conferma molto esposta su entrambi i fronti. Proprio questo è un esempio molto importante, che fa comprendere come la crisi del debito privato (ora al 120% del Pil) abbia generato un aumento dell’indebitamento pubblico (sopra il 200%).
– Al 15esimo posto troviamo infine la Germania, la cui componente di debito privato (120%) è quasi doppia rispetto a quella pubblica (circa l’80%).
COME USCIRE DALLA CRISI? – Leggendo un qualunque articolo che commenti l’andamento delle Borse negli ultimi giorni, in molti si saranno posti la seguente domanda: se siamo in piena crisi, se la famosa ‘luce in fondo al tunnel’ tarda ad arrivare, se la disoccupazione cresce ed il Pil no, come è possibile che le Borse continuino a salire inanellando nuovi massimi storici?
– Anche in questo caso il collegamento è molto semplice, sebbene non immediato. Non c’è da sorprendersi, infatti, che Wall Street e Francoforte abbiano fatto segnare i nuovi massimi storici in questo periodo; l’andamento azionario è ‘drogato’ dal programma di stimoli che gli istituti centrali (Fed americana in primis), stanno portando avanti da diversi anni. Fin tanto che questi stimoli monetari non si ridurranno e, fin tanto che i tassi di interesse rimarranno su livelli così bassi, sarà quindi difficile assistere ad un’inversione di rotta.
– Questo rally del comparto azionario, però, non porta immediati vantaggi ai cittadini che, se fino a qualche anno fa potevano contare su banche favorevoli alla concessione del credito, oggi si trovano davanti un muro invalicabile. Ciò che rende difficile la ripresa ‘privata’ è lo scollamento tra la finanza e l’economia reale. Tradotto: le banche non immettono più soldi in circolazione. E’ l’esatto opposto di quanto accadeva prima del 2007.
– L’obiettivo, quindi, deve essere quello di adottare soluzioni che possano portare le istituzioni finanziarie a far nuovamente da collante per lo sviluppo e la crescita dell’economia reale. Il taglio del costo del denaro della Bce dello scorso 7 novembre, tuttavia, non sembra poter garantire il superamento di questo scollo tra finanza ed imprese/privati.
– Un’altra misura interessante, purtroppo non andata a buon fine, è il piano Ltro (Long term refinancing operation) adottato dalla Bce; l’istituto guidato da Mario Draghi ha prestato liquidità alle banche al tasso agevolato dell’1%, pari a mille miliardi da restituire in tre anni, restituiti in anticipo e mai trasferiti realmente nel tessuto produttivo.
– Un passo avanti potrebbe essere compiuto portando in negativo il tasso di deposito alla Bce, ossia il tasso di interesse che le banche ricevono quando depositano la liquidità presso l’istituto di Francoforte. Ora il valore è pari allo 0%, ma portandolo a negativo si sfavorirebbe ulteriormente questa pratica bancaria.
– Una seconda idea potrebbe essere quella di riproporre il piano Ltro, subordinandolo e rendendolo effettivo solamente per quegli istituti che possiedono un tasso di concessioni prestiti a famiglie ed imprese elevato. In Inghilterra tale operazione è stata intrapresa e ha preso il nome di Funding for lending scheme.
– Le alternative, quindi, esistono. Vedremo se saranno adottate oppure no.
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Matteo Torti