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Referendum trivelle 17 aprile 2016, tutte le conseguenze del Sì e del No. Analisi

voto-elezioni-e-sondaggiSvuotato nei contenuti rispetto alla sua versione originaria, ma gonfiato di una forte valenza politica-emotiva, è il referendum “anti-trivelle” chiesto da dieci Regioni preoccupate dalle conseguenze ambientali e turistiche di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi. Si voterà domenica 17 aprile, ma nonostante sia già partito il consueto dibattito politico, sono poche le occasioni in cui è stata spiegata la reale sostanza dell’unico quesito referendario sopravvissuto fra i sei originari. La domanda, in realtà, è ben diversa rispetto a quella presentata negli ultimi giorni e in sostanza chiede: volete voi che, una volta scadute le concessioni attualmente esistenti nelle acque territoriali italiane, quei giacimenti vengano fermati anche se sotto c’è ancora gas o petrolio? Vediamo tutto nel dettaglio.
REFERENDUM: LA SCELTA DELLA DATA – Domenica 17 aprile 2016. E’ questa la data scelta dal Governo per il referendum “anti-trivelle”. Una data che a molti risulterà come ambigua visto che poco più di un mese dopo si andrà al voto per le amministrative.
– Una data scelta con cura dal Governo per evitare sovrapposizioni, e quindi sfalsamenti di voti e colpi bassi legati alla campagna elettorale, tra referendum ed elezioni comunali. Le seconde storicamente con un’affluenza ben maggiore rispetto al primo.
– Ed è questa motivazione che spiega il perché si è scelto di non unire amministrative e referendum che, se da un lato avrebbe portato a un indubbio risparmio economico stimato in 350-400 milioni di euro, dall’altro lato avrebbe portato a un quorum senza dubbio maggiore.
– Il referendum, unito alle amministrative, avrebbe avuto la certezza del raggiungimento del quorum necessario, pari al 50% + 1 degli aventi diritto al voto; il referendum preso singolarmente, invece, deve prima passare lo sbarramento dei votanti per assicurarsi un valore concreto.
IL QUESITO REFERENDARIO – “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?”.
– Questo il quesito che troverete domenica 17 aprile sulla scheda referendaria. Un quesito molto diretto e ben diverso da quella tematica generale che sono in molti a presentare e a decantare in questi ultimi giorni.
– Non si tratta di decidere se dare o non dare il via libera alle ricerche petrolifere nei nostri mari, ma solo per rinnovare o meno le concessioni esistenti e presenti entro le 12 miglia marine, sulle piattaforme già esistenti.
– Semplificando ulteriormente: se il 17 aprile vince il “no” i giacimenti dove “pescano” le 64 piattaforme attualmente presenti verranno sfruttati fino a esaurimento; se dovesse vincere il “sì”, gli impianti verranno chiusi in anticipo, alla scadenza delle concessioni e le stesse non saranno rinnovate.
UNA IMPORTANTE PRECISAZIONE – Nonostante la forte valenza politica, filosofica e, in certi casi, demagogica, che sta assumendo il referendum, è bene fare alcune precisazioni che spiegano il senso del dire che il quesito è completamente svuotato nei contenuti.
– Il Decreto Legislativo n° 152 del 2006, nel 17esimo comma dell’Art. 6 già indicava il divieto di avviare attività di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa: “Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette”.
– Quindi: non si decide il destino delle trivellazioni oltre le 12 miglia perché lo stesso quesito referendario lo specifica; non si decide per le nuove trivellazioni entro le 12 miglia perché, come visto sopra, sono già vietate.
– Si decide unicamente il destino delle 21 attività estrattive autorizzate, esistenti e in funzione nel nostro mare entro le 12 miglia dalle coste.
LA SITUAZIONE DELLE PIATTAFORME PETROLIFERE – Sono 66 le concessioni attive nei mari italiani, con 110-130 piattaforme operative; ma di queste solamente 21 sono quelle attive entro le 12 miglia e, di conseguenza, di interesse per quanto riguarda il referendum.
– Mare Adriatico Settentrionale: ne troviamo 3, due della Eni di fronte a Rovigo e Forlì, e una della Po Valley Op. di fronte a Ferrara.
– Mare Adriatico Centrale: qui ne troviamo 4, con una di fronte a Fermo e tre nel tratto di costa compreso tra le Tremiti e Ombrina.
– Mare Ionio – Golfo di Taranto: è sicuramente il tratto di mare con maggiore concentrazione di giacimenti, assieme al Canale di Sicilia.  Coinvolgono gran parte delle coste est di Basilicata e Calabria.
– Canale di Sicilia: vale il discorso fatto sopra. 6 giacimenti nella costa Sud-Ovest della Sicilia attorno ad Agrigento e una, di Eni-Edison Gas, attorno all’Isola di Pantelleria.
TUTTE LE QUESTIONI DEL Sì E DEL NO – Effetti diretti e indiretti, positivi e negativi; il petrolio come risorsa preziosa o come fonte di inquinamento; economia e ambiente, investimenti e turismo. Le tematiche in gioco sono molte e ognuna delle due parti ha a cuore l’uno o l’altro tema.
Effetti diretti:
: quando scadranno le concessioni si metterà fine a diversi giacimenti entro le 12 miglia dalle coste italiane, ponendo fine a investimenti anche importanti che società come Eni ed Edison stanno attuando.
No: quando scadranno le concessioni, le compagnie petrolifere avranno la possibilità di chiedere un prolungamento dell’attività, subordinato a valutazioni di impatto ambientale.
Effetti positivi:
: sicuramente si allontanerebbe il rischio di incidenti rilevanti nei mari italiani.
No: i rischi sono esistenti, ma remoti. Proseguendo sulla strada delle trivellazioni, si eviterebbero ricadute negative per un settore strategico, dove l’Italia ha tecnologie avanzatissime nel mondo; senza tralasciare la ricaduta negativa sulle royalty per le Regioni in caso di interruzione di queste attività, introiti stimati in 400 milioni di euro.
L’impatto del petrolio in mare:
: come detto sopra, a preoccupare sono gli eventuali incidenti, ma anche le operazioni di routine che riguardano l’estrazione e che provocano un inquinamento; si è stimato che in mare aperto la densità media del catrame depositato sui fondali sia di 38 milligrammi per metro quadrato.
No: gli incidenti sono remoti e l’estrazione è sicura e supervisionata da un controllo costante dell’Ispra e delle Capitanerie di porto.
Il petrolio come risorsa preziosa:
: le concessioni fanno si che gli idrocarburi estratti siano di proprietà di chi li estrae e la società petrolifera, per le attività in mare, è tenuta a versare alle casse dello Stato il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas. Dunque, il 90-93% degli idrocarburi estratti è vendibile altrove; e i posti di lavoro immediatamente a rischio in caso di chiusura di queste concessioni sono decisamente meno rispetto a quelli a rischio per calo del turismo e dell’appeal del nostro Paese.
No: quello del petrolio e del gas è un settore solido, con contributi che valgono 800 milioni di euro di tasse, 400 milioni di royalties e concessioni, oltre a un indotto di posti di lavoro per 10mila persone.
LE TRIVELLE E LA DIFESA DEL CLIMA
: è indispensabile un taglio radicale dell’uso dei combustibili fossili e quindi investire oggi sul petrolio potrebbe rivelarsi un azzardo economico.
No: il futuro sarà delle rinnovabili, ma vanno integrate per la loro affidabilità è limitata. Acqua, sole e vento non sono elementi che possiamo gestire a nostro piacimento; e quindi serve una parte di combustibili fossili.
EMOTIVITÀ E RISCHIO DEMAGOGIA – Il rischio è quello di un referendum sull’acqua bis; un referendum di forte presa emotiva, ma di effetto pratico modestissimo. Si rischia che l’emotività e la bagarre politica possano cadere nella solita demagogia, con un beneficio effettivo molto limitato per ambiente, turismo e investimenti.
– Se appare certo che il futuro non sarà del petrolio come unica fonte di energia, è altrettanto vero che per molti anni le nostre auto continueranno a usare carburanti. E quindi meno petrolio e gas dai giacimenti nazionali, come chiedono le Regioni ribattezzate “no-triv”, significano meno royalty per alleggerire i propri bilanci, meno entrate da girare ad altri settori.
– Senza considerare che non rinnovare le concessioni per i giacimenti nazionali dietro l’idea del “riduciamo le emissioni globali”, in un mondo in cui il petrolio è ancora fonte indiscutibilmente primaria, significa portare gli stessi in Paesi remoti, sicuramente meno controllati e regolamentati del nostro.
– Il referendum chiede la volontà, o meno, di non rinnovare le concessioni dei giacimenti attivi entro le 12 miglia, ma lo possiamo legare a un altro quesito: meglio sfruttare petrolio e gas nazionali a “chilometro zero” o importare le stesse risorse da Paesi remoti, sicuramente meno controllati e regolamentati del nostro?

Matteo Torti

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