Decreti attuativi Jobs Act, sintesi, punti fondamentali, analisi e spiegazioni
Dopo l’approvazione della Legge di Stabilità 2015, il Governo guidato da Matteo Renzi compie un altro passo: nel Cdm della vigilia di Natale è arrivato il via libera ai decreti attuativi del Jobs Act. Un passo definito dal premier come “una rivoluzione copernicana. Un passo storico”. I punti principali? L’approvazione definitiva del contratto a tutele crescenti e le modifiche sui reintegri, che non scompariranno del tutto.
VISIONI DIFFERENTI – “Io, dice Renzi durante la conferenza stampa di presentazione dei decreti attuativi del Jobs Act, rispetto le valutazioni che sono frutto di battaglie di una vita, una parte avrebbe voluto non ci fosse l’opting out e altri il licenziamento collettivo. A un certo punto il leader si assume delle responsabilità e decide, fa delle scelte”.
– Parole rivolte ai sindacati o, meglio, a una parte dei sindacati. Parole rivolte a Susanna Camusso, leader della Cgil, e a Maurizio Landini, segretario generale della Fiom. Entrambi duramente critici nei confronti delle misure introdotte da Renzi sul fronte del mercato del lavoro.
– “Ha cancellato il lavoro a tempo indeterminato, generalizzando la precarizzazione”, commenta la Camusso. “E’ un regalo fatto alla vigilia di Natale agli imprenditori, che noi non condividiamo”, sbotta Landini.
– Sulla stessa lunghezza d’onda Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil: “Il governo ha fatto solo un favore agli imprenditori e sta eseguendo i compitini assegnati dalla Merkel”.
IL CAMPO DI APPLICAZIONE – Il testo del decreto approvato dal Governo, e che dovrà essere poi approvato anche dal Parlamento, definisce il campo di applicazione del provvedimento.
– Dal 1° gennaio 2015 ai neo assunti sarà applicato il contratto a tutele crescenti, generando così una distinzione tra chi sarà assunto con questa forma contrattuale e dovrà osservare questa nuova impalcatura di leggi e chi, invece, già lavora a tempo indeterminato e conserverà le vecchie regole.
CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI – Uno dei punti principali del Jobs Act è l’introduzione del contratto a tutele crescenti. Tutele che vanno a modificare quanto previsto dall’articolo 18 e che andranno ad impattare sui licenziamenti dando il definitivo addio al reintegro nei licenziamenti per motivi economici.
– Nel testo che va a modificare l’articolo 18 viene previsto che le tutele crescenti per i licenziamenti economici illegittimi daranno luogo a un indennizzo pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, con un tetto massimo di 24 mensilità e un indennizzo minimo di 4 mensilità da far scattare subito dopo il periodo di prova, per evitare i licenziamenti facili.
– Rimane la “conciliazione veloce”, in cui il datore di lavoro può offrire una mensilità per anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità, con un minimo di due.
– Nelle intenzioni di Renzi e del suo esecutivo, l’introduzione del contratto a tutele crescenti dovrebbe sostituire in toto tutte quelle forme di contrattazione a tempo determinata e precaria dal momento che le aziende avranno due benefici essenziali: sgravi sul fronte dei contributi e niente applicazione dell’articolo 18.
I LICENZIAMENTI DISCIPLINARI: COSA CAMBIA? – In questo campo il Governo ha adottato un mini restyling di quanto previsto dalla Legge Fornero. La reintegra rimarrà valida solamente per quei casi di insussistenza materiale del fatto contestato.
– Sino ad oggi, invece, sui licenziamenti senza giusta causa era previsto il diritto al reintegro per quelli discriminatori e per le aziende con più di 15 dipendenti, in alcuni casi il reintegro avveniva per quelli disciplinari e in quei casi in cui il motivo economico non sussiste.
– Ora invece il reintegro sparisce del tutto da quelli economici, rimane valido per quelli discriminatori e potrà essere reso superabile per quelli disciplinari.
LA BATTAGLIA SULL’OPTING OUT – Nelle ore immediatamente precedenti al Cdm della Vigilia di Natale si è dibattuto molto sull’opting out, chiesto a gran voce da Ncd. Di cosa si tratta?
– L’opting out è un meccanismo che in caso di licenziamento disciplinare ingiustificato, consente all’azienda condannata dal giudice di scegliere non il reintegro del lavoratore, bensì un indennizzo ben più alto.
– Il testo varato dal Governo non prevede l’opting out ed è lo stesso Renzi a spiegare il motivo di questa mancanza: “Se avessimo applicato l’opting out saremmo andati oltre la delega che il Parlamento ci aveva assegnato”.
– Spiegazione che non è andata giù a Ncd e Forza Italia che rivendicano, in tal senso, una mancanza di determinazione mostrata dall’esecutivo reo, secondo Brunetta, di essersi piegato ancora una volta a una “giurisprudenza esageratamente buonista”.
LA NUOVA ASPI – Per avere un quadro più definito sulla nuova indennità di disoccupazione bisogna attendere le prossime settimane. L’idea è quella di dar vita a un ammortizzatore sociale più universale, accessibile anche dai Co.co.pro., dai contratti in somministrazione e a tutti i nuovi contratti a tutele crescenti.
– L’idea di base è quella di potervi accedere con sole 13 settimane di contributi e di garantire un sussidio crescente con la durata del contratto, con un tetto massimo di 24 mensilità contro le 18 previste dalla Legge Fornero.
– Ancora da definire l’ammontare mensile dell’indennizzo che, secondo indiscrezioni, non dovrebbe superare i 1090 euro mensili.
“UN PASSO AVANTI, MA CON DEI COMPROMESSI” – Questa frase, pronunciata Martedì da Fabrizio Cicchitto di Ncd, ci sembra il commento più corretto e completo al Jobs Act di Renzi.
– Sul fronte dei licenziamenti collettivi, l’aver reso il quadro più semplice e meno arcaico è sicuramente un passo avanti; ma lo stesso vigore non è stato utilizzato sul fronte dei licenziamenti individuali, dove il Governo non è riuscito a vincere le battaglie dei sindacati per eliminare il reintegro anche nel caso di licenziamenti disciplinari.
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Matteo Torti
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