Manca praticamente un mese al 4 dicembre, giorno in cui gli italiani saranno chiamati ad esprimere il proprio parere sul Referendum Costituzionale, e il dibattito politico sul Sì e sul No si fa sempre più articolato e complesso. In questo articolo analizzeremo, punto per punto, le ragioni dei sostenitori del Sì.
IL QUESITO – “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”
– È questo il quesito che gli aventi diritto al voto troveranno, il prossimo 4 dicembre, sulla scheda elettorale. Un quesito che ha scatenato diverse polemiche nei sostenitori del No per la sua “dialettica populista” che metterebbe in evidenza, in modo fin troppo sfrontato, le tesi del Sì.
INSIEME PER UN’ITALIA PIÙ EFFICIENTE – Mossi dall’obiettivo di rendere l’Italia più efficiente, i sostenitori del Sì al Referendum Costituzionale 2016 del 4 dicembre non hanno dubbi sulla bontà dei punti affrontati dalla riforma costituzionale Renzi-Boschi.
– Superamento del bicameralismo paritario
– Leggi in tempi più rapidi
– Riduzione dei costi della politica
– Maggiore partecipazione dei cittadini
– Chiarire le competenze di Stato e Regioni
– Rappresentanza degli Enti locali in Parlamento e in Europa
UNA STORIA CHE PARTE DA LONTANO – Ci sono voluti diversi anni e molti sforzi vani per vedere una riforma costituzionale di questo peso essere approvata in Parlamento; una riforma che, secondo i sostenitori del sì, affronta in modo efficace alcune fra le maggiori emergenze istituzionali del nostro Paese.
– La riforma costituzionale che gli italiani saranno chiamati a votare il prossimo 4 dicembre 2016 modifica molti articoli della nostra Costituzione ma, come tengono a precisare i sostenitori del referendum costituzionale, non la stravolge.
– L’obiettivo è quello di garantire una continuità col modello dei Costituenti; un modello abbandonato in favore del bicameralismo paritario, sorto per ragioni prudenziali dopo lo scoppio della Guerra fredda. Un modello, quello proposto nella legge Renzi-Boschi, che metterà fine all’eccezione tutta italiana di avere un Parlamento composto da due camere eguali, che danno e tolgono la fiducia al Governo con gli stessi poteri e, più o meno, con la stessa composizione.
– Un cantiere di revisione della Costituzione naufragato in diverse circostanze nei decenni scorsi e che, qualora dovesse venire bocciato anche questa volta, non si riaprirà tanto facilmente e rapidamente.
TUTTE LE RAGIONI DEL Sì – Un iter durato più di due anni, passato per sei letture di cui tre per ciascuna Camera, con 6mila votazione e l’approvazione di oltre cento emendamenti. Un cantiere costituzionale che ha l’obiettivo, secondo i punti che riporteremo di seguito, di raccogliere le sfide di una competizione europea e globale che richiede istituzioni più efficaci, più semplici, più stabili.
1) Superamento del bicameralismo paritario: l’Italia cesserà di essere l’unico paese europeo in cui il Parlamento è composto da due camere uguali, ciascuna con gli stessi poteri e con una composizione praticamente identica. Questo superamento servirà per ridurre il costo della politica e per rendere più efficace e rapida l’attività del Parlamento. Solamente i Deputati potranno dare e togliere la fiducia al Governo, mentre il Senato sarà organo rappresentante degli Enti Locali, ossia quelle istituzioni che le Leggi centrali devono far applicare e rispettare.
2) Leggi in tempi più rapidi: con la vittoria del Sì al Referendum Costituzionale del 4 dicembre 2016 e la conseguente eliminazione del bicameralismo paritario, si andrà ad agire anche sui tempi di definizione di leggi e riforme che saranno ulteriormente velocizzati. Tranne che per alcune materie limitate, sarà solamente la Camera ad approvare le leggi, mentre il Senato avrà al massimo 40 giorni per discutere e proporre modifiche.
3) Riduzione dei costi della politica: un altro punto discendente dell’eliminazione del bicameralismo paritario sarà la riduzione dei costi della politica, come conseguenza diretta del calo dei Senatori che passeranno da 315 a 95, ai quali ne saranno aggiunti 5 nominati dal Presidente della Repubblica e che non percepiranno alcuna indennità. Sempre nell’ottica della riduzione dei costi della politica anche l’abolizione del Cnel e dei suoi 65 membri.
4) Maggiore partecipazione dei cittadini: visione della democrazia non solo al momento delle elezioni, ma come un insieme di strumenti nelle mani dei cittadini per esprimere idee, proposte e bisogni. Sui disegni di legge di iniziativa popolare, proposti da 150mila elettori, il Parlamento avrà l’obbligo di discutere e deliberare; inoltre saranno introdotti i referendum propositivi e di indirizzo, abbassando poi il quorum per la validità dei referendum abrogativi che si attesterà sulla metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche.
5) Chiarire le competenze di Stato e Regioni: le “competenze concorrenti” tra Stato e Regioni saranno eliminate e ogni livello di governo avrà le proprie competenze e le proprie funzioni legislative. Lo Stato avrà competenze esclusive in materia di trasporti e navigazione, produzione e distribuzione nazionale dell’energia; alle Regioni, invece, potranno essere delegate competenze legislative proprie oltre all’organizzazione sanitaria, al turismo e allo sviluppo economico.
6) Rappresentanza degli Enti locali in Parlamento e in Europa: la fine del bicameralismo paritario porterà con sé anche una nuova visione del Senato che svolgerà funzione di rappresentanza delle Regioni e dei Comuni che, tramite i sindaci e i consiglieri, interverranno direttamente nel procedimento legislativo.
MOTIVAZIONI CONCRETE E FACILI DA COMUNICARE – Inutile nascondersi: che il quesito referendario, e di conseguenza il titolo della legge da cui lo stesso nasce, spinga verso un voto al Sì è evidente a tutti; così come è evidente a tutti che le motivazioni sostenute dai favorevoli al Referendum Costituzionale del 4 dicembre 2016 siano molto comprensibili, immediate e concrete.
– La campagna elettorale in favore del Sì, proprio per queste ragioni appena espresse, appare focalizzata sul contenuto del quesito, potendo far leva su argomenti nazional-popolari come la riduzione dei costi della politica, il taglio dei senatori e la soppressione di enti considerati da sempre come esempi di sprechi.
– Questo quadro di, almeno apparente, maggiore facilità di trasmissione del messaggio, sembra essere stato equilibrato da delle uscite poco chiare del premier Renzi che, in prima battuta, ha voluto trasformare l’esito del Referendum in un “dentro o fuori” relativamente alla sua carriera politica, salvo poi fare dietrofront poco più di un mese dopo.
I SOSTENITORI DEL Sì – Il primo sì ricevuto dalla Riforma Costituzionale porta la firma di Confindustria e degli industriali, desiderosi di ritrovare in Italia quella stabilità necessaria per garantire una politica di medio – lungo termine.
– Tra i sostenitori del Sì spicca anche Denis Verdini, fondatore del movimento politico Ala e da diversi mesi sempre a fianco del premier Renzi: “A noi che abbiamo una storia di centrodestra alle spalle sembra interessante mettere su dei comitati per il Referendum che incidano su quell’elettorato che per 20 anni ha chiesto le riforme, bocciate con il referendum del 2006”.
– Discorso simile per Angelino Alfano, mosso dalla volontà di voler cambiare il Paese e sicuro che “da primo e unico segretario del Pdl, posso dire con certezza che almeno la metà degli eletti di quella forza politica voterà Sì al referendum”.
– Un appoggio importante arriva anche da Flavio Tosi, sindaco di Verona ed ex-leghista: “Per chi è di centrodestra, votare Sì a questa riforma è assolutamente coerente visto che l’eventuale bocciatura sarebbe pagata a carissimo prezzo dall’Italia nel rapporto con i partner stranieri e con la finanza internazionale”.
– Assieme a una parte di esponenti dell’ex centrodestra troviamo anche Riccardo Nencini, segretario del Partito socialista italiano: “Se vince il no il processo delle riforme istituzionali si blocca. Nessuno avrà la forza e la credibilità per riproporlo”.
I SONDAGGI: AL MOMENTO VINCEREBBE IL NO – Il colpo di scena, al momento, arriva dai sondaggi. Nonostante le motivazioni del Sì siano più facili da comunicare e possano far leva su tematiche nazional-popolari, i sondaggi danno in vantaggio il fronte del No.
– Secondo Ixé, il No dopo aver sorpassato il Sì a metà ottobre, ha incrementato sensibilmente il vantaggio fino a un 52%, contro il 48% dei sostenitori del Sì. Stesso discorso per Index Research e Monterosa che addirittura posiziona il fronte del No in vantaggio di 8-9 punti percentuali.
UNA LEGENDA PER CAPIRE MEGLIO – Chiudiamo questo articolo con un piccolo approfondimento su ciascuno dei 5 punti essenziali riportati nel quesito referendario: bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari, contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, soppressione del CNEL e titolo V.
– Bicameralismo perfetto: forma politica che assegna identici poteri alle due camere che formano il Parlamento. Quel sistema che i sostenitori del Sì vorrebbero abolire per accantonare la “navetta”, ossia quella distorsione che consente che ciascuno dei due rami del parlamento possa continuare ad apportare modifiche al testo votato dall’altro ramo, allungando indefinitamente i tempi di approvazione della legge. D’altro canto, questo sistema garantisce un più sicuro svolgimento democratico dell’iter legislativo.
– Riduzione del numero dei parlamentari: come diretta conseguenza dell’abolizione del bicameralismo perfetto arriva la riforma del Senato, con la conseguente riduzione del numero di senatori che saranno, in caso di votazione positiva al Referendum, eletti con metodo proporzionale dai consigli e scelti tra i consiglieri regionali e i membri sindaci.
– Contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni: aspetto molto immediato che viene di conseguenza con la riforma del Senato e la conseguente riduzione del numero di senatori e con la soppressione del Cnel. Punto, però, su cui c’è diversità di vedute in termini di cifre: il Governo stima un risparmio di 500 milioni di euro l’anno, mentre un documento ufficiale della Ragioneria dello Stato certifica il risparmio in meno di 49 milioni di euro all’anno.
– Soppressione del CNEL: organo di rilievo costituzionale istituito nel 1957 con competenze legislative in temi economici e sociali e con la facoltà di esprimere pareri, non vincolanti, in via propria o su richiesta del Governo, delle Camere o delle Regioni. Attualmente è composto da 64 membri, di cui 8 sono nominati dal Capo dello Stato e 2 dal Presidente del Consiglio, mentre gli altri sono dei rappresentati delle categorie produttive nel settore privato e pubblico. Con un costo medio di 20 milioni di euro all’anno, questo Ente è visto da Renzi come l’emblema degli sprechi politici.
– Titolo V: si tratta di quella parte della Costituzione italiana in cui vengono definite le autonomie locali: comuni, province e regioni. Nel corso degli anni si è andati nella direzione di dare sempre maggiore competenze alle Regioni, una su tutte la sanità, e con la riforma del 2001 a marchio centrosinistra anche maggiore autonomia in campo finanziario.
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Matteo Torti