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Sì o No Referendum, sintesi motivazioni di entrambe le parti per chi ancora è indeciso

elezioni, votiA poco meno di venti giorni, la battaglia per il referendum costituzionale è entrata ufficialmente nel suo vivo. Dibattiti continui, scambi di opinioni e sondaggi che danno in vantaggio, con anche più di 7 punti percentuali, il fronte del No. Gli incerti, comunque, sono ancora molti e l’esito naturalmente incerto. Da una parte i renziani che credono nel cambiamento e nel rinnovamento, dall’altra parte i conservatori e chi crede che la firma Renzi-Boschi sposti eccessivamente un modello di Repubblica Parlamentare in un sistema Presidenziale.
UNA RIFLESSIONE SULLA GOVERNABILITÀ – Prima di partire con l’analisi del testo, dei punti chiave della Riforma Costituzionale e delle motivazioni del Sì e del NO vogliamo farvi riflettere su un concetto, forse troppo abusato nell’ultimo periodo. Stiamo parlando della governabilità.
– Molto del referendum si gioca su questo tema; molte delle dichiarazioni degli ultimi Presidenti del Consiglio si soffermano su questa parola. Ma cosa vuol dire veramente governabilità? O, meglio ancora, da dove deve derivare la governabilità in un sistema politico?
– La governabilità è un plus che deve esserci sempre, anche a patto di riscrivere le “regole del gioco” e a prescindere dal risultato delle elezioni, o è la capacità di uno schieramento politico di raggiungere autonomamente la situazione che gli consente di svolgere le proprie funzioni legislative?
– La governabilità è il necessario risultato di ogni elezione o l’obiettivo massimo, raggiungibile o meno, di ogni tornata elettorale? Perché nel primo caso la governabilità, se manca, è per colpa delle “regole del gioco”; nel secondo caso, se manca, è per l’incapacità degli schieramenti politici di creare una solida base di consenso attorno a sé.
IL TERZO REFERENDUM COSTITUZIONALE DELLA STORIA DELLA REPUBBLICA – Con il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre si voterà per confermare o respingere la riforma Renzi-Boschi, contenuta nella legge costituzionale approvata dal Parlamento lo scorso 12 aprile.
– Un’approvazione avvenuta con un numero inferiore dei due terzi dei componenti di ciascuna camera e, pertanto, subordinata all’esito della consultazione popolare, il terzo nella storia della Repubblica Italiana dopo quelli del 2001 e del 2006.
– Non essendo un referendum abrogativo non sarà necessario raggiungere alcun quorum per la validità dello stesso. La riforma entrerà in vigore se il numero di voti favorevoli sarà superiore al numero dei contrari, a prescindere dalla partecipazione al voto.
IL TESTO DELLA RIFORMA – Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione“, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?
– Sarà questo il testo che leggeremo il prossimo 4 dicembre 2016; un testo, suo malgrado, divenuto assoluta protagonista della scena politica delle ultime ore. Un testo su cui Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana hanno presentato ricorso.
– Sono in molti a sostenere che il quesito pubblicato ufficialmente pochi giorni fa sia uno “spot per il sì”, un modo per manipolare il risultato finale mettendo in luce, ed esaltandoli, solo e soltanto gli aspetti positivi della riforma costituzionale. Insomma una domanda che sembra fatta apposto per rispondere sì.
– Dal Colle è arrivata una replica decisa: “il quesito che comparirà sulla scheda è stato valutato e ammesso, con proprio provvedimento, dalla Corte di Cassazione, in base a quanto previsto dall’art 12 della legge 352 del 1970, e riproduce il titolo della legge quale approvato dal Parlamento”.
I PUNTI CHIAVE DELLA RIFORMA – Ma cosa prevede realmente la nuova riforma della Costituzione, su cui saremo chiamati ad esprimerci il prossimo 4 dicembre 2016? Vediamo, punto per punto, le novità introdotte nella legge Renzi-Boschi.
1) Bicameralismo perfetto: è la fine. Stop al sistema che prevede due camere con identici poteri. La riforma costituzionale pone fine al bicameralismo paritario, promuovendo la Camera dei Deputati come unica assemblea legislativa con il potere di votare la fiducia al governo.
2) Senato: nuova composizione. Senatori ridotti da 315 a 100, di cui 5 saranno scelti dal Presidente della Repubblica e avranno un mandato di massimo 7 anni, non rinnovabile. Gli altri 95 saranno eletti con metodo proporzionale dai consigli e scelti tra i consiglieri regionali e i membri sindaci.
3) Senato: nuova funzione. Le competenze legislative dei senatori riguarderanno le riforme costituzionali, le ratifiche dei trattati internazionali, le leggi elettorali degli enti locali e quelle sui referendum popolari.
4) Presidente della Repubblica: nuove modalità di elezione. Il capo dello Stato sarà eletto dai 630 deputati e dai 100 senatori; per i primi tre scrutini saranno necessari i due terzi dei componenti, poi dalla quarta votazione si scende ai tre quinti, mentre dal settimo basterà la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
5) Referendum: come potrà essere proposto? Non basteranno più le 500mila firme attuali per proporre un referendum, ma si dovrà arrivare a 800mila. Il numero di firme necessarie per la presentazione di progetti di legge di iniziativa popolare, invece, verrà triplicato: da 50mila a 150mila.
6) Giudici della Consulta: il ruolo delle due Camere. I 5 giudici della Consulta non saranno più eletti dal Parlamento in seduta comune, ma saranno scelti separatamente dalle due Camere. Ne spetteranno tre alla Camera dei Deputati e due al Senato.
7) Cnel e Province: via all’abolizione. Via al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, con la nomina di un commissario straordinario a cui sarà affidata la liquidazione e la ricollocazione del personale presso la Corte dei Conti. Via anche ogni riferimento alle Province.
8) Regioni ed enti locali: via i responsabili dei dissesti. Saranno introdotti indicatori di costi e fabbisogni per rendere più efficienti tutte le funzioni di Comuni, città metropolitane e Regioni, affinché in caso di accertato dissesto verranno allontanati gli amministratori
9) Legge elettorale: possibile ricorso alla Consulta. Prima della promulgazione, tutte le leggi che disciplinano l’elezione dei parlamentari potranno essere sottoposte alla Consulta per un giudizio preventivo. In caso di illegittimità, la legge non verrà promulgata.
10) Quote rosa: il concetto di equilibrio. Nuovo comma nell’articolo 55 della Costituzione: “Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza”.
LE RAGIONI DEL Sì – Analizzare le ragioni del Sì, anche in virtù del testo del referendum, è piuttosto semplice.
1) Superamento del bicameralismo perfetto: l’addio a questa forma di governo darebbe il via a una riduzione dei costi della politica e l’accelerazione dei tempi per approvare una legge, ponendo fine alla cosiddetta “navetta”, ossia quel rimbalzarsi la futura legge tra Camera e Senato.
2) Riduzione dei costi della politica: con la riduzione del numero dei senatori, l’abolizione del Cnel e delle Province e la regola secondo cui i consiglieri regionali non potranno percepire indennità più alte rispetto a quella del sindaco del relativo capoluogo di Regione, la voce dei costi della politica si ridurrà.
3) Più chiarezza sulle competenze di Regioni e Stato: stop alle competenze concorrenti visto che ciascun livello di governo avrà proprie e specifiche funzioni legislative. Alcune tematiche di interesse nazionale saranno competenza esclusiva dello Stato (reti di trasporto e navigazione, formazione professionale, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), mentre alle Regioni verranno delegate competenze legislative in tema di turismo, organizzazione sanitaria e sviluppo socio-economico.
4) Enti locali al centro dell’attività politica: il Senato diventerà la perfetta espressione delle Regioni e dei Comuni; così facendo gli Enti locali troveranno finalmente la loro partecipazione diretta alla formazione delle leggi dello Stato.
LE RAGIONI DEL NO – E perché invece gli italiani dovrebbe opporsi all’approvazione della Renzi-Boschi? Illegittimità della riforma, conflitti di competenze, riduzioni fasulle dei costi della politica. Sono diverse le argomentazioni dei sostenitori del rifiuto.
1) Illegittimità di una maggioranza: il testo della riforma è il risultato di una maggioranza, risicata, prevalsa nel voto parlamentare sotto lo slogan “abbiamo i numeri” piuttosto che di un vero consenso maturato fra le forze politiche.
2) Un imperfetto bicameralismo e il finto problema della “navetta”: l’obiettivo di un superamento del bicameralismo perfetto è condiviso e condivisibile, ma con questa riforma non si da vita ad una seconda Camera reale espressione delle istituzioni regionali, ma si va ad indebolire un Senato rappresentanza di enti locali articolati in base ad appartenenze politico-partitiche. Tra l’altro, il problema della “navetta” sarebbe finto: analizzando l’attività legislativa della XVI legislatura è emerso che 301 disegni o progetti di legge su 361 sono stati approvati con appena due letture. Solamente 3 su 361 sono stati approvati dopo più di 4 letture.
3) Maggiore complicazione legislativa: questa via di superamento del bicameralismo perfetto porta a una pluralità di procedimenti legislativi, differenziati in base alle diverse modalità di intervento del nuovo Senato.
4) Riduzione dei costi della politica: l’abolizione del Cnel e delle Province e la riduzione del numero dei Senatori dovrebbe portare, secondo Renzi, un risparmio annuo di 500 milioni di euro. Ma un documento della Ragioneria dello stato certifica il risparmio a meno di 49 milioni di euro all’anno.
5) Un Presidenzialismo nascosto: Senato delle autonomie, “partitino” del Presidente della Repubblica ed eliminazione del bicameralismo perfetto. Tutto va nella direzione dell’accentramento dei poteri sul premier e sul partito di cui è esponente. Se a questo si aggiunge la tematica della legge elettorale, si rischia di far cadere quei paletti messi dai padri costituenti proprio per evitare un eccessivo accentramento di potere su una persona. Aspetto che, nella storia italiana, non ha certo prodotto aspetti positivi. E se questa evenienza sembra un lontano ricordo, chiaramente senza fare paragoni, ma bisogna ricordare che l’Italia è un Paese che ha dimostrato di potersi far “manipolare” facilmente da un “politi-comico”.
L’OPINIONE – Che il quesito referendario, e di conseguenza il titolo della legge da cui lo stesso nasce, siano decisamente spinti verso un voto al Sì è evidente a tutti; ma è altrettanto evidente che le proteste e le opposizioni si sarebbero potute fare prima e in altre sedi.
– Andando sul fronte delle motivazioni una prima differenza è netta: le ragioni del Sì sono, almeno ad una prima lettura, molto comprensibili, immediate e concrete rispetto a quelle del No. Senza esprimere preferenze per l’una o l’altra parte, ci sembra tuttavia inevitabile concludere che la campagna in favore del Sì possa confrontarsi soprattutto sul contenuto del quesito, mentre la campagna del No debba farsi portavoce della forma con cui si è arrivati allo stesso.
– E il motivo è presto detto: un conto è parlare alla gente di riduzione dei costi, tagli dei senatori, soppressione di enti considerati come esempi di sprechi; un conto è far leva sull’etica costituzionale di una maggioranza illegittima che si prende il diritto di riformare la Carta italiana e di un riformato procedimento legislativo che, pur senza il bicameralismo perfetto e la famigerata “navetta” legislativa, rischia di rimanere intrappolato comunque in una serie di passaggi e rimbalzi tra le due Camere.
– Questo non vuole essere un invito a votare Sì o No, ma vuole essere un ragionamento sul fatto che sia più facile, in quanto maggiormente immediata e concreta, la comunicazione del Sì rispetto a quella del No che si deve rifare più all’orgoglio, alla morale, all’etica, alla storia della Repubblica. Tant’è che tra i No troviamo personaggi del calibro di Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, entrambi giuristi di spicco del panorama italiana.
– C’è quindi il rischio per alcuni e l’opportunità per altri che i sostenitori del Sì riescano a parlare di più alla “pancia” della gente rispetto al movimento del No. Se da una parte i favorevoli hanno il vantaggio di poter parlare di temi più immediati, dall’altra gli oppositori del referendum hanno la possibilità di virare il referendum costituzionale su un voto di fiducia sul governo Renzi nello stile del “votiamo No per mandare a casa Renzi”.
– Opportunità che i favorevoli del Sì devono, a loro malincuore, accettare visto che è stato proprio lo stesso premier, in prima battuta, a trasformare il Referendum costituzionale in una sorta di out out sul suo operato e futuro politico affermando, unitamente alla Boschi lo scorso 11 maggio, “non sono come tutti gli altri. Se posso cambiare il Paese lo cambio, se non lo posso cambiare, ci sarà qualcun altro più bravo di me. Se non passa la riforma io non lascio solo il posto da Presidente del Consiglio, lascio il mio posto da politico”, salvo poi ritrattare tutto poco più di un mese dopo.
– Insomma: referendum non più visto come “Armageddon della politica”, ma come passaggio importante per il futuro del Paese: “Se al referendum dovesse vincere il No non c’è l’invasione della cavallette, non cade il mondo. Rimane tutto come adesso”.
LE INTENZIONI DI VOTO AD OGGI – Nonostante ultimamente, vedi Brexit e elezioni presidenziali americane, i sondaggi e le intenzioni di voto non siano state supportate dai fatti, è bene sottolineare che tutte le statistiche condotte vedono in netto vantaggio il fronte del No.
– La differenza arriva anche a 7 punti percentuali: 41% contro 34%. Ma il fronte degli indecisi è ancora molto alto, si stima attorno al 25%.
UNA LEGENDA PER CAPIRE MEGLIO – Abbiamo pensato di chiudere questo articolo con un piccolo approfondimento su ciascuno dei 5 punti essenziali riportati nel quesito referendario: bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari, contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, soppressione del CNEL e titolo V.
– Bicameralismo perfetto: forma politica che assegna identici poteri alle due camere che formano il Parlamento. Quel sistema che i sostenitori del Sì vorrebbero abolire per accantonare la “navetta”, ossia quella distorsione che consente che ciascuno dei due rami del parlamento possa continuare ad apportare modifiche al testo votato dall’altro ramo, allungando indefinitamente i tempi di approvazione della legge. D’altro canto, questo sistema garantisce un più sicuro svolgimento democratico dell’iter legislativo.
– Riduzione del numero dei parlamentari: come diretta conseguenza dell’abolizione del bicameralismo perfetto arriva la riforma del Senato, con la conseguente riduzione del numero di senatori che saranno, in caso di votazione positiva al Referendum, eletti con metodo proporzionale dai consigli e scelti tra i consiglieri regionali e i membri sindaci.
– Contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni: aspetto molto immediato che viene di conseguenza con la riforma del Senato e la conseguente riduzione del numero di senatori e con la soppressione del Cnel. Punto, però, su cui c’è diversità di vedute in termini di cifre: il Governo stima un risparmio di 500 milioni di euro l’anno, mentre un documento ufficiale della Ragioneria dello Stato certifica il risparmio in meno di 49 milioni di euro all’anno.
– Soppressione del CNEL: organo di rilievo costituzionale istituito nel 1957 con competenze legislative in temi economici e sociali e con la facoltà di esprimere pareri, non vincolanti, in via propria o su richiesta del Governo, delle Camere o delle Regioni. Attualmente è composto da 64 membri, di cui 8 sono nominati dal Capo dello Stato e 2 dal Presidente del Consiglio, mentre gli altri sono dei rappresentati delle categorie produttive nel settore privato e pubblico. Con un costo medio di 20 milioni di euro all’anno, questo Ente è visto da Renzi come l’emblema degli sprechi politici.
– Titolo V: si tratta di quella parte della Costituzione italiana in cui vengono definite le autonomie locali: comuni, province e regioni. Nel corso degli anni si è andati nella direzione di dare sempre maggiore competenze alle Regioni, una su tutte la sanità, e con la riforma del 2001 a marchio centrosinistra anche maggiore autonomia in campo finanziario.

APPROFONDIMENTO –
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Matteo Torti

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